
Dal piano Marshall al 1975
La 2° guerra mondiale aveva distrutto gli impianti produttivi delle principali Nazioni eu, tra cui Inghilterra, Francia e Germania, che si erano contese, insieme al Giappone, il dominio mondiale, mentre l’apparato produttivo americano non aveva subito danni.
Gli eu compravano soprattutto beni di prima necessità e pochi macchinari prodotti negli Stati Uniti.
Dato il meccanismo del moltiplicatore delle esportazioni, l’aumento di reddito registrato negli USA favoriva importazioni dall’Eu, ma la gran parte della produzione industriale mondiale era statunitense e i dollari regalati ai Paesi eu tornavano negli Stati Uniti.
Si affermò il dollaro come moneta di scambio internazionale e moneta di riserva, mentre gli operatori abbandonarono la sterlina.
Viste le necessità dell’Eu, si registrò la scarsità di dollari.
Negli anni cinquanta la bilancia dei pagamenti statunitensi registrò dei deficit, ma dovuti solo agli aiuti e ai finanziamenti agevolati (che erano un incentivo all’esportazione della merce del Paese che li eroga) mentre la bilancia commerciale statunitense era in surplus.
Man mano che le economie eu e giapponesi recuperavano i livelli produttivi prebellici, aumentavano la quota di commercio internazionale a scapito degli Usa, che collaboravano alla loro ripresa e il cui aumento del reddito comportava più importazioni.
Si delineava il clima di guerra fredda, fino al 1989 con la caduta del muro di Berlino.
Nel 1949 gli Stati Uniti avevano stabilito con alcuni paesi eu un’alleanza difensiva la NATO (North Atlantic Treaty Organization).
Tra il ’47 ed il ’48 dalla Polonia alla Bulgaria, si instaurarono governi comunisti legati all’URSS di Stalin.
I Paesi dell’Est aderirono al Patto di Varsavia.
Le due potenze uscite vincitrici dalla 2° guerra mondiale, URSS e USA, avevano due sistemi economici contrapposti e non riuscirono a trovare una cooperazione pacifica, entrambe in lizza per l’egemonia mondiale.
Il mondo capitalista e fondato sulla libera iniziativa economica e l’economia pianificata erano due modelli troppo lontani e antagonisti.
I due blocchi industriali e produttivi si affrontarono in tutti i campi.
Tra il 1947 e il 1962 ci furono episodi che portarono i due contendenti sull’orlo del conflitto mondiale.
Berlino era nella Germania dell’Est, che invece era sotto controllo sovietico.
Nel 1948 Stalin decise di bloccare ogni via di accesso alla città per assediare le parti occupate dagli alleati e indurre i tedeschi ad abbandonare la città e ricondurla tutta sotto il controllo sovietico.
I comandi generali statunitensi proposero un piano per rifornire le parti occupate dagli occidentali con colonne di carri armati, che avrebbero aperto il fuoco se attaccate.
La proposta fu rifiutata dal Presidente, perché considerata troppo pericolosa e alla fine gli USA decisero di rifornire Berlino con un ponte aereo che Stalin non osò impedire.
Il blocco terrestre era stato imposto da Stalin come scusa che a Yalta non si erano definite le modalità di rifornimento delle zone occupate e che la Repubblica democratica tedesca non gradiva il passaggio dei convogli di quelli che erano stati in precedenza alleati.
Una seconda crisi esplose in Asia dove Mao Zedong e il comunismo si erano affermati in Cina.
Con la fine dell’occupazione dell’Impero giapponese, al termine della 2° guerra mondiale, la Corea era stata divisa in due parti sul 38° parallelo Nord: la Corea del Nord (governo comunista) e la Corea del Sud alleata degli Americani.
Il Consiglio di sicurezza ONU dette l’appoggio all’intervento USA, perché il rappresentate sovietico si assentò per protesta contro la presenza del rappresentante della Cina Nazionalista.
Stalin dette il via libera alla guerra per verificare la forza nordcoreana e quella del suo alleato Cinese nei confronti degli USA e per sfiancare la Cina, di cui temeva la concorrenza nel mondo comunista, e gli USA, capitalisti.
Il conflitto terminò dopo tre anni, con il ritorno alla situazione ante guerra e la divisione in due della Corea.
La guerra di Corea spinse gli Stati Uniti a intensificare la propria azione ostile verso i paesi socialisti e a modificare la propria politica nei confronti delle potenze contro cui aveva combattuto la guerra mondiale.
Nel 1951 fu firmato il trattato di pace con il Giappone.
Fu consentita la creazione dei Keiretsu giapponesi.
Gli USA stipularono il Patto di sicurezza nel Pacifico con Australia e Nuova Zelanda, mentre in Eu procedette al riarmo della Germania.
Inizialmente i piani statunitensi nei confronti della Germania erano stati severi e si era fatta l’ipotesi della sua deindustrializzazione, per evitare nuove guerre.
A fronte della minaccia comunista, i piani vennero modificati e si favorì la ripresa industriale tedesca.
La Germania venne industrializzata per vincere il confronto con l’Est e altrettanto facevano i sovietici nella Repubblica democratica tedesca.
Aiuti economici furono concessi dagli USA alla Spagna franchista e alla Jugoslavia, in rotta con l’URSS.
Nel 1961 i tedeschi dell’Est costruirono un muro a Berlino, così da dividere il settore orientale da quello occidentale ed evitare le fughe di Tedeschi dal settore russo all’altro.
Nel 1962, a Cuba c’era Fidel Castro, dittatore comunista.
I sovietici tentarono di installare sull’isola segretamente basi missilistiche per riequilibrare i rapporti di forza missilistici tra le due superpotenze, che vedeva in vantaggio l’occidente, soprattutto per i missili a lunga distanza.
Impiantando a Cuba missili, l’URSS avrebbe recuperato lo svantaggio.
L’impresa venne scoperta dagli aerei statunitensi e il presidente Kennedy dispose una quarantena navale intorno a Cuba e impose all’URSS di ritirare le armi atomiche dall’isola.
Il blocco navale era illegale ed era un atto di guerra.
Interviene Papa San Giovanni XXIII, che dette modo alle due superpotenze di uscire dalla situazione di stallo che suscitò l’apprezzamento di entrambe le parti in causa e smarcò i leader dal problema della prima mossa.
I sovietici inviano al Governo americano due proposte: ritirare i missili da Cuba in cambio della garanzia che gli USA non avrebbero più tentato di invaderla; chiedono il ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia.
La richiesta serviva a riequilibrare il confronto missilistico, ma non incrementando il dispositivo russo, ma diminuendo quello statunitense in Eu.
Kennedy accettò la prima richiesta in pubblico e la seconda in segreto.
Gli Usa detenevano la moneta di riserva internazionale e questo gli consentiva il signoraggio monetario.
Se il mondo
capitalista ha vinto lo si deve anche a questo.
Il signoraggio è l’insieme dei redditi del governo derivanti dall’emissione di moneta.
Il premio Nobel Krugman lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi».
In macroeconomia per signoraggio si intendono i redditi che un governo ottiene grazie alla possibilità di creare base monetaria in condizioni di monopolio: è una delle fonti con cui un governo finanzia la propria spesa pubblica eccedente rispetto alle entrate fiscali.
In occasione della necessità di finanziare i costi di guerre, si è sempre registrato la tendenza degli Stati di emettere più biglietti rispetto a quelli convertibili secondo le parità auree dichiarate ai propri cittadini e arrivare ad un tale numero di biglietti in circolazione da dichiarare l’inconvertibilità della moneta.
Tutte le monete del mondo sono oggi inconvertibili.
Nei rapporti tra Stati si è sempre invece usato l’oro, tanto che sia il Gold Standard che il Gold Standard exchange erano fondati sulle parità auree dichiarate con l’oro: nel primo la convertibilità con l’oro era permessa ai singoli cittadini, nel secondo alle sole BC.
Nello scontro armato tra il mondo libero e il socialismo reale si assistette alla necessità del Paese leader del fronte del mondo occidentale di utilizzare il signoraggio per vincere la guerra fredda.
Gli USA ebbero la fortuna di trovarsi a poter utilizzare la moneta di riserva internazionale come moneta con cui attuare il signoraggio e questa situazione consentì alla moneta statunitense di non dover subire la svalutazione corrispondente all’eccesso di emissione della propria moneta.
Il signoraggio ottenuto dal governo può essere misurato dal potere d’acquisto della nuova base monetaria messa in circolazione dal governo.
M è la base monetaria (non l’offerta complessiva di moneta che dipende dal moltiplicatore della base monetaria) e P è l’indice generale dei prezzi.
M/P è il valore reale della base monetaria, cioè l’insieme dei beni e servizi che si possono acquistare con la base monetaria.
Mt – Mt-1/Mt è il tasso di crescita della base monetaria dal tempo t-1 al tempo t.
Signoraggio σ=(Mt–Mt-1/Mt)M/P.
Il governo incorpora beni e servizi stampando moneta.
Qual è il tasso di crescita ottimale conveniente per il governo? C’è opposizione tra gli studiosi che credono nella neutralità della moneta sia nel breve che nel lungo periodo e coloro che riconoscono la non neutralità nel breve termine.
Lo scambio per le autorità monetarie non è tra inflazione e occupazione, ma tra signoraggio e inflazione.
Trattandosi di un monopolio di un bene il cui costo di produzione è irrisorio, il problema è una curva di Laffer, una funzione concava, una funzione a valori reali, il cui grafico giace al di sopra del segmento congiungendo due punti qualsiasi del grafico.
Se poniamo sulle ascisse l’inflazione e sulle ordinate il signoraggio, il problema è di ottenere il massimo signoraggio possibile senza scatenare un processo iperinflazionistico, cche si raggiunge nel punto più alto della funziona concava.
Questo farà comprendere la differenza con il Paese con la moneta di riserva e le ragioni che hanno portato ad adottare il Dollar Standard.
Nel grafico si immagina un’inflazione di 1% compatibile con un signoraggio dell’8%.
L’inflazione genera un processo di attesa inflazionistica e con l’introduzione delle aspettative razionali inflazionistiche, è più realistico pensare a più elevati tassi inflazionistici compatibili con il signoraggio.
In Italia, nello stesso periodo, l’inflazione media fu del 16,78.
Per calcolare le compatibilità negli altri Paesi, lo studente ricavi dai vari centri statistici dei vari Paesi i dati dell’inflazione per i Paesi.
In Italia un signoraggio del 6,60% del PIL provocò un’inflazione del 16,78%.
Nella guerra fredda gli USA dovevano aumentare le spese militari per esser superiori ai sovietici e Usa furono coinvolti in tutti i conflitti armati di quel periodo: Guerra civile greca (1946-49); Guerra d’Indocina (46-54); Prima guerra arabo-israeliana (47-49); Guerra di Corea (50- 53); Guerra d’Algeria (54-62); Guerra del Canale di Suez (56-57); Guerra coloniale portoghese (61-75); Guerra sino-indiana (1962); Guerra della sabbia (63-75); Guerra di indipendenza della Namibia (66-89); Guerra dei sei giorni (67); Guerra d’attrito giugno (68-70); Guerra del calcio (69); Guerra di liberazione bengalese (71); Guerra del Kippur (73); Guerra civile cambogiana (70-75).
L’area comunista pagò con crisi economiche e sociali la contesa per l’egemonia mondiale.
La necessità di dimostrare la superiorità del modello capitalistico e il meccanismo delle libere elezioni, l’esistenza di forti partiti comunisti liberi di propagandare un immaginario mondo sovietico in cui gli operai erano felici e benestanti e non sfruttati dai “terribili capitalisti”, implicò la necessità di far riprendere bene e subito le economie dei Paesi contro cui era stata combattuta la 2° guerra mondiale.
I Paesi occidentali eu, Germania e Giappone, importarono meno dagli Stati Uniti ed esportarono di più verso il resto del mondo: la quota delle esportazioni americane sul commercio internazionale si ridusse perché la produttività dell’industria eu salì: mentre la produttività della industria manifatturiera nel 1965 in Francia e in Germania era il 56% ed il 68% della produttività dello stesso settore negli Usa, nel 1974 la produttività era salita al 73% e al’82%.
La bilancia dei pagamenti USA nel decennio precedente era stata in equilibrio per il surplus commerciale, ma poi diminuì e il deficit della bilancia dei pagamenti aumentò per: le spese militari degli Stati Uniti all’estero (partecipazioni a guerre, mantenimento di truppe, importazione di materie prime per scopi militari, costruzione di basi missilistiche, ricerca e sviluppo di tecnologie nucleari e spaziali); investimenti delle imprese americane in Eu; la ripresa di produttività delle economie eu e del Giappone.
Aumentò la base monetaria di dollari fuori degli Stati Uniti: parte di essa veniva utilizza dagli operatori economici internazionali per le transazioni commerciali e finanziarie, sempre più intense tra i Paesi occidentali per la crescente integrazione economica tra essi.
Il prezzo dell’oro sui mercati liberi, dopo il signoraggio applicato dagli USA, era salito.
L’aumento della quantità di dollari in circolazione e la politica monetaria espansiva consentita in tutti i Paesi occidentali aveva determinato inflazione nelle Nazioni occidentali.
Negli USA l’inflazione era salita al 6% nel 1970.
Diventava conveniente per le BC cambiare dollari in oro.
Nei primi anni sessanta, le BC eu avevano convertito dollari al prezzo ufficiale di 35 dollari l’oncia, inferiore a quello effettivo.
Nel 1968 le riserve auree degli Stati Uniti erano scese al 42% di quello raggiunto nel 1958.
Consapevoli della gravità della situazione politico economica occidentale e dell’impossibilità per gli USA di ripagare in oro i dollari emessi, i Paesi eu vennero incontro agli USA e nel 1968 vi fu un accordo tra i Paesi aderenti al FMI con cui fu creato il doppio mercato dell’oro: un mercato ufficiale per i fini monetari riservato solo alle BC, dove queste si impegnavano a scambiare il metallo alla parità aurea dichiarata dagli USA; un mercato libero per gli operatori economici privati, in cui il prezzo sarebbe stato determinato da domanda e offerta.
Le BC si impegnavano a non effettuare acquisti o vendite sul mercato libero.
Fu la guerra in Vietnam a costringere le autorità americane ad aumentare l’emissione di dollari USA.
Legare la moneta di riserva internazionale ad una valuta nazionale, come era stato nel sistema della sterlina, aumentava l’instabilità del sistema economico internazionale, a causa del conflitto tra gli obiettivi di politica economica interna e le necessità del commercio e degli scambi internazionali.
Le tesi di Keynes erano state riprese dall’economista Triffin, che elaborò la teoria “paradosso di Triffin”: se una moneta nazionale è utilizzata internazionalmente come valuta di riserva, esistono conflitti di interesse tra gli obiettivi interni a breve termine e gli obiettivi internazionali a lungo.
Se una nazione desidera mantenere la propria moneta come valuta di riserva mondiale, questa dovrà essere disposta a fornire alle altre nazioni un apporto supplementare di moneta per soddisfare la loro domanda di valuta di riserva.
Come aveva preannunciato Keynes, ci si attende che il Paese con la moneta di riserva abbia surplus della bilancia dei pagamenti per finanziare l’emissione di moneta di riserva.
Le politiche economiche per ottenere questo risultato possono contrastare con gli obiettivi di politica economica interna e determinare recessione.
Se si da prevalenza agli obiettivi interni, nella teoria di Triffin ci si attende un deficit della bilancia dei pagamenti, che però indebolisce la fiducia nella solidità della moneta nazionale usata come riserva standard internazionale e pone le basi per il default del sistema.
Triffin avvisò che il sistema rischiava il fallimento o per mancanza di liquidità (mancano titoli monetari a medio termine) o perché sarebbe finito l’oro di riserva degli USA.
L’egemonia dell’economia americana era minacciata dal nuovo quadro macroeconomico, dallo sviluppo dell’Eu e del Giappone, e per l’uso della politica monetaria espansiva per finanziare le guerre a cui le sottoponeva lo scontro con il comunismo internazionale.
Nella nuova situazione si prospettavano cinque alternative:
1. ridurre il numero dei dollari in circolazione con il taglio del deficit della bilancia delle partite correnti della bilancia
dei pagamenti e aumentare i tassi di interesse per attirare investimenti in dollari verso il paese, per compensare l’emorragia derivante dal ruolo del dollaro di una moneta di riserva internazionale.
Questa strategia avrebbe trascinano l’economia americana in recessione.
Conflitto tra le necessità della moneta di riserva internazionale e l’obiettivo interno USA della piena occupazione.
Kennedy decise di firmare un ordine esecutivo che permette al Tesoro degli Stati Uniti emissioni monetarie garantite in argento.
Voleva creare una doppia circolazione monetaria: un dollaro legato all’oro secondo la stabilità aurea garantita da Bretton Woods; un dollaro legato all’argento.
I nuovi dollari d’argento, sarebbero stati fuori dal controllo della Federal Reserve e dal suo diritto di signoraggio, stabilito nel 1913.
Kennedy si basava sulla legge di Gresham: l’idea era che il dollaro d’argento cacciasse quello d’oro, quindi ridurre il dollaro d’oro in circolazione per ristabilire l’avanzo della bilancia dei pagamenti USA e impedire la recessione, aumentando l’emissione di dollari legati all’argento, che avrebbero dovuto sostituire nel Paese la circolazione del dollaro legato all’oro.
Così la prima moneta sarebbe stata la moneta di riserva internazionale e la seconda utilizzata nel Paese.
La circostanza che l’ordine esecutivo desse l’incarico di battere la nuova moneta al Tesoro e non alla Federal Reserve viene interpretato come una mossa del Presidente contro quel sistema, ma ci sono ragioni tecniche per sostenere che tale ordine volesse tutelare quel sistema e il dollaro legato all’oro e scambiato internazionalmente.
Non sappiamo se un sistema del genere avrebbe mai potuto funzionare, perché Kennedy verrà assassinato.
2. rivalutare l’oro e svalutare il dollaro, riportando in equilibrio la bilancia commerciale degli USA.
Il riequilibrio avrebbe comportato una riduzione delle esportazioni Giapponesi e Tedesche.
Questa era la posizione francese.
La produzione di oro non è sufficiente a sostenere la crescita del commercio internazionale;
3. accettare l’inconvertibilità del dollaro: accettare che il sistema monetario funzionasse come dollar standard;
4. tornare all’ipotesi di Keynes ed istituire una moneta internazionale, non reale, ma che costituisse l’unità di conto e affidare al FMI la gestione del sistema internazionale dei pagamenti;
5. passare dal sistema di cambi fissi al flessibile: proposta dal monetarista Friedman.
Nell’incontro del FMi del 1967 si è creata una moneta internazionale (artificiale) ancorata all’oro e distribuita tra i paesi membri del Fondo.
Siccome i francesi erano sia sostenitori del ritorno all’oro (volevano la svalutazione del dollaro per tornare al Gold Standard) e avversi a monete internazionali artificiali, si coniò il termine di Diritti speciali di prelievo una moneta artificiale.
I Diritti Speciali di Prelievo sono una valuta che è l’unità di conto del FMI.
Il valore di questa valuta si ricava sommando un paniere ponderato di valute nazionali, rispetto alle quali si calcola un comune denominatore.
L’uso di questa valuta non è mai decollato e di essa ci si serve solo in det Convenzioni internazionali di disciplina internazionale privatistica sulla responsabilità, nel diritto del trasporto aereo, marittimo e postale, nell’Unione Postale Universale, responsabile del coordinamento del sistema postale internazionale, negli accordi tra compagnie telefoniche nel roaming.
La storia è andata diversamente: nel 1971 il presidente statunitense Nixon annuncia l’inconvertibilità in oro dei dollari.
Il dollaro rimaneva la moneta di riserva internazionale occidentale.
Gli operatori stranieri e le BC straniere non potevano chiedere il cambio dei dollari con la moneta nazionale (perché non utilizzata per gli scambi internazionali) o con l’oro (perché il dollaro non era più convertibile); potevano invece investirli nelle banche statunitensi o in titoli del tesoro USA.
Dato che la moneta più utilizzata per gli scambi commerciali mondiali (petrolio) è il dollaro, gli operatori commerciali internazionali vendono le merci in dollari, quale che sia la loro divisa nazionale.
Per i Paesi esportatori con un saldo attivo della bilancia commerciale questo crea un afflusso di dollari.
La teoria si attende che i dollari siano offerti a livello internazionale per acquisire altri beni e servizi internazionali.
Questo dovrebbe determinare un aumento dell’offerta di dollari e una svalutazione del dollaro.
In realtà si ha un fenomeno diverso.
Tutti gli importatori di petrolio usano i dollari in riserva per acquistare prodotti energetici sui mercati energetici e hanno enormi riserve della valuta statunitense.
I produttori di petrolio non chiedono alla FED di cambiare i petrodollari nella moneta locale dei Paesi Arabi, ma tengono i proventi del petrolio in conti correnti denominati in dollari e investiti in titoli del Tesoro e azioni USA.
Diversamente da quanto atteso dalla teoria economica, i dollari emessi non si presentano al cambio condizionando il valore del dollaro sulle altre monete.
Sono investiti in titoli di lungo termine: quei dollari non sono nemmeno moneta circolante che produrrebbe inflazione rientrando in America.
Esiste un mercato di dollari fuori del controllo degli USA che non si riversa né sul mercato dei beni interno agli USA, dove determinerebbe inflazione, né sul mercato internazionale dei beni, dove determinerebbe svalutazione del dollaro.
Nel 1976 si ha l’abolizione del prezzo ufficiale dell’oro e del doppio mercato dell’oro.
Il FMI era autorizzato a restituire una parte dell’oro ai Paesi che lo avevano versato come adesione e a vendere un’altra parte utilizzando il ricavato a beneficio dei Paesi in via di sviluppo.
Non essendovi più la convertibilità del dollaro in oro dal 1971 e non avendo sostituito la nuova unità di conto (Diritti speciali di prelievo) il dollaro come moneta di riserva e di scambio internazionale, il sistema attuale di relazioni monetarie internazionali è divenuto un sistema basato solo sul dollaro.
Alcuni economisti lo definiscono dollar standard, perché i pagamenti per le operazioni commerciali e finanziarie internazionali vengono fatti in dollari, che sono però inconvertibili.
Altri lo hanno definito “Treasury-bill standard”, perché i dollari in eccesso si trasformano in prestiti al tesoro statunitense.
Nel 1974 i Paesi OPEC ridussero la produzione di petrolio, causando una crisi energetica mondiale.
Il prezzo al barile del petrolio e delle importazioni quadruplicò, così come la domanda di dollari (petrodollari).
Con la crisi petrolifera quadruplicò la domanda mondiale di dollari (a parità di fabbisogni) e il cambio del dollaro si risollevò.
Dopo la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro esso era stato svalutato e si erano rivalutati marco e yen, adesso era il corso del dollaro a crescere.
Dopo la crisi energetica, il dollaro si rivalutò e i Paesi OPEC continuarono a farsi pagare il petrolio in dollari e a investire i petrodollari nelle banche statunitensi in titoli di stato statunitensi.
La teoria quantitativa PQ=MV considera stabile nel breve termine il reddito e l’occupazione, ma le considera in crescita nel M/L periodo a causa della crescita della popolazione e del progresso tecnico.
Al crescere del commercio internazionale e del reddito mondiale (Q), perché si mantenga stabile il livello dei prezzi possono accadere due alternative e cioè varia la circolazione monetaria V o aumenta M.
Nel sistema del petrodollaro, perché aumenti la quantità di moneta in circolazione a livello mondiale è necessario che aumentino le riserve di dollari.
Ma la quantità di dollari utilizzata come riserva nelle BC può aumentare, basta che la Federal Reserve stampi più dollari o che i Paesi produttori di petrolio ne estraggano di più o aumentino il prezzo o che i proventi della vendita del petrolio vengano tesaurizzati in dollari invece di utilizzarli per acquistare oggetti: perché cresca l’offerta di moneta mondiale è necessario che i paesi produttori di petrolio abbiano un surplus della bilancia dei pagamenti in dollari.
Con la fine del Gold exchange standard e l’inizio del Dollar standard, si passò da un regime di cambi fissi ad uno a cambi flessibili, anche se concordati tra le BC delle principali economie mondiali.
Il Conto capitale della bilancia dei pagamenti registra le acquisizioni, al netto delle cessioni, di attività non finanziarie
e misura la variazione del PN dovuta al risparmio ed al trasferimento in conto capitale; I movimenti di capitale comprendono vari tipi di transazioni internazionali.
Vi rientrano gli investimenti fisici diretti esteri (costituzione di impianti all’estero o acquisizione di quote di capitale di un’impresa estera già esistente, per il controllo della sua gestione).
Il Conto finanziario della bilancia dei pagamenti, redatto dalla Banca d’Italia per il Paese, per singoli settori e per il Resto del mondo, descrive le variazioni nelle consistenze delle attività e passività finanziarie con cui i Paesi assumono debiti o concedono crediti; vi rientrano gli investimenti di portafoglio (acquisto o sottoscrizione di titoli o di altre attività finanziarie estere, motivate da considerazioni di rendimento e di rischio).
Sono compresi tra i movimenti internazionali di capitale anche i crediti commerciali (dilazioni di pagamento concesse dagli esportatori ai clienti e i prestiti erogati ad una controparte estera senza che la transazione comporti lo scambio di un’attività finanziaria negoziabile sul mercato).
I petrodollari non si trasformano nell’acquisto di beni e servizi, ma in acquisto di titoli del debito pubblico americano.
Il volume delle transazioni finanziarie è cresciuto negli anni.
I possessori di questo denaro effettuano speculazioni o investimenti finanziari a breve termine per ottenere la remunerazione migliore.
Il modello più semplice per spiegare l’andamento dei movimenti di capitale è basato sul differenziale dei tassi d’interesse tra nazioni diverse.
A fronte di una massa di denaro così imponente e maggiore rispetto al commercio internazionale, i differenziali tra i tassi di interesse hanno assunto un ruolo primario nel riequilibrio delle bilance dei pagamenti: se il tasso d’interesse di una Nazione è superiore al tasso medio del resto del mondo, questo divario susciterà un afflusso di capitali esteri, attratti dalla prospettiva di un impiego più remunerativo e il saldo dei movimenti di capitale risulterà in surplus.
Il processo è sottoposto alle normali leggi della domanda e dell’offerta e l’afflusso si arresterà quando l’eccesso della domanda sull’offerta di titoli nazionali avrà fatto scomparire il divario tra il tasso d’interesse interno ed estero.
Viceversa, se il tasso d’interesse di una nazione scende al di sotto del livello del resto del mondo, ciò stimolerà un deflusso di capitali verso l’estero e porterà in disavanzo la corrispondente sezione della bilancia dei pagamenti.
Il deflusso continuerà finché l’arbitraggio internazionale non avrà pareggiato i tassi d’interesse all’interno e all’estero.
Saldo dei moviment i di portafoglio: Bf=f(i–im) in cui Bf è il saldo della bilancia finanziaria, f la sensibilità dei movimenti di capitale ai tassi d’interesse; i il tasso di interesse medio dei titoli di un paese; im il tasso di interesse medio del resto del mondo.
Il livello dei tassi d’interesse nazionali rispetto a quelli esteri è importante nell’analisi dell’equilibrio esterno di un’economia, ma deve essere considerato insieme alle aspettative sul cambio e alle prospettive di sostenibilità del debito del Paese emittente.
Teoria della parità dei tassi di interesse.
L’equilibrio del saldo del bilancio finanziario necessita che il tasso di interesse medio praticato in una nazione sia uguale a quello medio praticato fuori del Paese i=im in cui i è il tasso di interesse vigente nel Paese preso in considerazione e im il tasso medio mondiale.
Per tenere conto del cambio occorre distinguere il tasso di interesse a pronti, che si forma sui mercati valutari per le transazioni regolate momento per momento.
Le operazioni a termine, invece, riguardano operazioni che saranno regolate in un momento futuro predeterminato.
Le aspettative razionali sulle future variazioni del cambio sono incorporate nel tasso di cambio a termine.
Per tenere conto di tali aspettative la formula diventa: 1+i=Et/Ep(1+im) in cui Et è il cambio a termine e Ep a pronti.
La seconda condizione di cui occorre tenere conto è la condizione oggettiva di stabilità del debito per cui il tasso di crescita del PIL sia uguale al tasso di interesse medio pagato sul debito: Δy=i.
L’idea di compensare un disavanzo delle partite correnti con un afflusso netto di capitali, attratti da un aumento del tasso d’interesse medio applicato in un Paese rispetto a quello applicato nel resto del mondo, deve essere considerata criticamente perchè: l’indebitamento verso l’estero comporta una perdita di indipendenza valutaria o politica dei cittadini del Paesi; in qualsiasi momento i capitali attratti possono allontanarsi o alzare i tassi di interesse; gli interessi pagati non rientrano nell’economia del paese; diminuzione degli investimenti sul territorio.
Si genera un onere che non rientra nell’economia del Paese.
E’ diverso il caso in cui gli interessi sul debito sono pagati a residenti o a non residenti.
Nel primo caso comportano delle rendite finanziarie per i cittadini che possono o spenderli o risparmiarli; aumentano i consumi interni.
Nel secondo caso aumenta il risparmio.
In ogni caso ne beneficia l’economica del Paese.
Quando invece gli interessi sono pagati a non residenti esiste un afflusso di capitali in fuoriuscita dal Paese.
Gli esborsi per interessi vengono registrati al passivo nel conto dei redditi da capitale delle partite correnti e devono essere compensati da un attivo delle altre voci della bilancia dei pagamenti.
I rialzi del tasso d’interesse diminuiscono gli investimenti sul territorio del Paese che li adotta.
È danneggiato l’investimento in capitale fisico aggiuntivo, l’unico in grado di attuare il processo moltiplicativo e aumentare l’occupazione.
Perché l’afflusso dei capitali stranieri sia compatibile con le condizioni oggettive di sostenibilità del debito sovrano di un Paese è necessario che il maggior tasso di interesse corrisponda ad una maggior crescita del PIL del Paese in questione rispetto alla media mondiale e non rappresenti l’indicazione di un maggior rischio.
Perché un eventuale differenziale tra il tasso medio di interesse applicato in un Paese e quello medio applicato nel mondo sia sostenibile nel medio termine, occorre che sia rispettata la seguente condizione: i– im=Δy–Δym in cui Δy indica il tasso di crescita del PIL del Paese; Δym il tasso di crescita del prodotto medio mondiale.
Se la moneta nazionale è anche moneta di scambio internazionale e di riserva ed è convertibile in oro, l’aumento della base monetaria si fonda su un incremento delle riserve auree del paese la cui moneta è di scambio internazionale, per permettere che nonostante l’aumento della base monetaria possa conservarsi la parità aurea dichiarata, quindi ci sarà surplus della bilancia dei pagamenti.