
L’offerta di lavoro
Controllo offerta di lavoro: politiche redistributive, incidenza immigrazione, tasso attività e disoccupazione.
Di norma ad un tasso di attività alto corrisponde un tasso di disoccupazione basso e quindi non è con politiche restrittive di accesso della manodopera al lavoro che si controlla la disoccupazione.
Questa affermazione è disattesa con la valutazione dell’incidenza dell’immigrazione sull’occupazione.
Né la crescita demografica né l’immigrazione si possono contribuire ad influenzare il tasso di disoccupazione, mentre l’immigrazione di lavoratori qualificati potrebbe fornire impulso all’economia, se fosse accompagnata da un adeguato livello di investimenti.
Con immigrazione qualificata si ha un temporaneo aumento della disoccupazione, ma con una produttività dei lavoratori rimessi sul mercato corrispondente al salario di possibili investimenti, l’esito sarà positivo.
Un effetto più lento sul mercato del lavoro sarà dato dall’invecchiamento della popolazione (riduzione del capitale genera invecchiamento), che determina effetti di distorsioni sul tasso di disoccupazione per effetto del prelievo fiscale utile per finanziare il sistema pensionistico.
Talvolta le politiche di prepensionamento sono state utilizzate come strumento di controllo dell’offerta di lavoro ma si sono rivelate inefficaci per gli effetti negativi per la perdita di capacità professionali associate ai lavoratori più anziani e più esperti.
Le politiche di prepensionamento hanno avuto problemi di attuazione per l’invecchiamento della popolazione che ha determinato effetti sul sistema pensionistico.
Si sono determinate tendenze verso un allungamento del periodo lavorativo e del periodo contributivo, rafforzando la continuità di lavoro degli anziani e scoraggiando il prepensionamento con l’aumento della fiscalità sui prepensionamenti.
Anche politiche redistributive (sostegno al reddito delle casalinghe) hanno conseguenze sull’offerta di lavoro.
Sono strumenti di politica familiare e sociale che possono incentivare le donne ad uscire dal mercato del lavoro, possono generare problemi in un reinserimento successivo, pesano sul reddito pensionistico futuro.
Un meccanismo utile per avvicinare l’offerta di lavoro delle famiglie alla domanda delle imprese è la riduzione dei sostegni al reddito quali i trasferimenti sociali e l’indennità di disoccupazione, anche se questo si scontra con gli obiettivi delle politiche sociali.
Le motivazioni della scelta al lavoro sono testimoniate nelle valutazioni empiriche che sono state effettuate con riferimento alle politiche adottate nei vari paesi e che mostrano come la scelta di partecipazione al mercato del lavoro non sia solo determinata da valutazioni economiche ma tiene conto di effetti di psicosociali non trascurabili.
Ugualmente nelle scelte di partecipazione al lavoro vanno considerati i problemi di organizzazione familiare determinati dall’organizzazione dei servizi nelle società.
Talvolta nello sviluppo dell’economia c’è l’esigenza di intervenire sul mercato del lavoro riformandolo.
In Italia possiamo schematizzare in quattro aree d’intervento le azioni di riforma possibili: l’intervento per la razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti (tutela dell’impiego, si razionalizzano gli strumenti di tutela del reddito, si rafforzano politiche attive del lavoro).
Critiche sulle manovre del mercato del lavoro riguardano la conciliazione di visioni contrapposte e cioè proteggere i posti di lavoro esistenti, ridurre le tutele dell’esistente per creare nuova occupazione; critiche all’uso dell’indennità di disoccupazione.
Chi sostiene la tutela dei posti e dello stock di lavoro ritiene che sussista un rischio che la riduzione temporanea possa divenire definitiva e questo implica nuova occupazione, ma sovente ha luogo con sostituzione a tempo determinato.
Chi sostiene l’utilizzo di minori tutele, le ritiene possibili a condizione che siano attivabili processi di creazione e riduzione simultanei.
La creazione di nuovi posti deriva da analisi costi/benefici tra l’assunzione del lavoratore ed il costo che avrà luogo in futuro per il licenziamento del dipendente.
Migliorare le politiche di controllo della disoccupazione significa migliorare i modelli di matching con il miglioramento dell’efficienza del collocamento e la riduzione del tempo di reinserimento con incentivo al rientro.
Molti studiosi convengono sulle implicazioni distributive della legislazione di tutela dell’occupazione che vede diminuire il rischio di perdite per chi ne beneficia, ma lo vede aumentare per chi non ne beneficia.
Taluni si interrogano su effetti allocativi sulla produttività e sulla crescita che possono essere ambigui in termini di conservazione di capitale umano e di incoraggiamento delle innovazioni.
In alcuni Paesi le riforme nella tutela hanno riguardato la regolamentazione dei licenziamenti, il loro controllo giudiziario, l’introduzione di incentivi monetari basati sulla anzianità e la tassazione del licenziamento come costo da far pagare all’impresa.
Nell’evoluzione delle politiche di riforma è emersa una tendenza alla sostituzione dell’indennità di disoccupazione con la predisposizione di politiche attive di ricerca del lavoro.
Il livello di occupazione e disoccupazione con riferimento ai modelli di matching dipende dalle performance delle istituzioni preposte e dalla natura degli incentivi proposti a chi cerca lavoro.
Da un miglioramento dell’efficienza di incontro tra domanda ed offerta deriva un miglioramento della produttività.
Non è economicamente né socialmente auspicabile un’occupazione in posti non desiderati né con oneri di mobilità ritenuti onerosi perché ciò renderebbe inefficace il matching.
Critiche dell’assicurazione contro la disoccupazione sono sulla durata dell’indennità, che se fosse troppo lunga porterebbe ad un depauperamento delle competenze ed alla costruzione di una immagine negativa del lavoratore, e poi la sanzionabilità del collocamento.
In alcuni Paesi sono stati adottati modelli di flexsecurity con vantaggio alle imprese per un migliore adeguamento alle esigenze, più sostegno ai lavoratori nella ricerca di nuova occupazione.
Con la flexsecurity si attua una strategia di politica del lavoro a vantaggio delle categorie più deboli che intende favorire la flessibilità del mercato e la sicurezza sociale.
I principi della flexsecurity riguardano la flessibilità contrattuale, la formazione lungo tutto l’arco della vita, la sicurezza occupazionale con l’impiego di politiche attive per il collocamento e l’occupabilità dei giovani, la sicurezza sociale con sostegno al reddito e protezione sociale.
La flessibilità contrattuale implica contratti di lavoro con flessibilità produttiva, quindi temporanei.
La flexsecurity è stata considerata strategia eu per la crescita e l’occupazione.
Altri strumenti per l’occupazione sono la formazione, il sostegno della creazione d’impresa, il sostegno per l’accesso al credito per nuova imprenditorialità, l’eliminazione di ostacoli alla mobilità dei lavoratori.
La messa a punto di una strategia globale coinvolge le dinamiche e la velocità delle politiche che ad essa concorrono e le rendono complementari.
Se la strategia dell’occupazione deve utilizzare più strumenti da coordinare, le priorità possono variare nel tempo secondo l’emergere di nuove esigenze dettate dall’agenda sociale ed economia nazionale ed internazionale anche alla luce dell’emergenza di nuovi lavori richiesti dalle società.
Sintesi dei modelli di funzionamento del mercato del lavoro: flessibilità (protezione lavoro debole, sussidi bassi, collocamento debole), sicurezza (protezione del lavoro forte, sussidi variabili di lunga durata, collocamento debole) e flexsecurity (protezione lavoro debole, sussidi alti di lunga durata, collocamento forte).