La partecipazione sociale
L’art. 2468 c.c. recita: “Le partecipazioni dei soci in srl non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di sollecitazione all’investimento. I diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento. Resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo e salvo quanto previsto dall’art 2473, i diritti previsti possono essere modificati solo col consenso di tutti i soci. Nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli art 1105 e 1106.” Detto articolo regola il contenuto della partecipazione e assume un ruolo fondamentale rispetto al modello della s.r.l., ha dato attuazione alle istanze di personalizzazione e di rivalutazione della posizione del socio nel congegno societario a responsabilità limitata grazie alla valorizzazione dell’autonomia privata.
La natura giuridica della partecipazione di s.r.l. è un tema dibattuto tra gli interpreti, i quali non hanno raggiunto un’opinione unitaria ed omogenea sul punto.
Dopo il 2003 si usa il termine “partecipazioni” in luogo di “quote”. Il cambiamento semantico tradisce l’intento del Legislatore di riconoscere al socio un ruolo centrale nell’ente. L’abolizione della misura minima della partecipazione alla società e la collocazione dell’ammontare del capitale sociale tra i requisiti per la costituzione della medesima ha fatto si che, dopo il 2003, la partecipazione del socio all’ente possa essere rappresentata da una frazione matematica rispetto all’intero (quota = quoziente o parte dell’intero) o da un valore nominale espresso idoneo a dare conto, del peso % di ciascun socio nell’organizzazione sociale. La partecipazione è unica rispetto alla titolarità di ogni socio e unitaria quanto al complesso delle situazioni giuridiche che compendia. Il n. iniziale di quote corrisponde al n. di soci. I diritti sociali si computano in base al valore unitario della partecipazione. Ciascuna partecipazione può avere, a seconda delle scelte dei soci, valore analogo o diverso rispetto alle altre.
Il principio dispositivo di riferimento permane quello del rapporto proporzionale tra conferimento e partecipazione sociale, ma la legge di riforma del 2003 ha aperto la possibilità di derogare a tale profilo, non ritenendolo un aspetto connaturato alla fisionomia del modello legale tipico. Al pari che nella s.p.a., nella s.r.l. sono ammessi i conferimenti non proporzionali: l’art. 24682 c.c. stabilisce che «se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento». L’atto costitutivo può prevede che conferimenti siano non proporzionali alle partecipazioni, nel qual caso resta fermo il principio secondo cui «il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare del capitale sociale» (art. 24641 c.c.). L’autonomia privata, dopo la legge di riforma, è in grado di alterare il rapporto tradizionalmente ricorrente tra “peso” societario di ciascun socio e ammontare dei conferimenti. La posizione del socio nell’ente, segnatamente per ciò che concerne la misura dei diritti sociali, discende dalle scelte contrattuali affidate all’atto costitutivo (sin dalla fase costitutiva o tramite una sua modificazione). L’art. 2468 c.c. pone il principio della diretta proporzionalità tra partecipazione e conferimento del socio → alterabile con apposita previsione dell’atto costitutivo il quale, a discrezione dei soci potrà privilegiare l’eguaglianza tra i membri della compagine sociale, standardizzando le partecipazioni, o valorizzare le caratteristiche ciascun socio modellandole in maniera diversificata; il principio della diretta e immediata proporzionalità tra diritti sociali e misura della partecipazione posseduta con una derogabilità che appare “assoluta” solo per le s.r.l., come prevede l’art. 2468 C.C. Una deroga statutaria al principio della proporzionalità tra diritti sociali e misura della partecipazione che il Legislatore limita solo a due ambiti definiti, ponendo all’interprete il problema fino a che punto sia autorizzata una lettura estensiva o analogica delle suddette locuzioni.
Il problema dell’ammissibilità delle categorie di quote. Alcuni dicono che i diritti particolari non possono essere connessi alla quota, ma vanno attribuiti «a singoli soci». La facoltà di attribuire particolari diritti a singoli soci non autorizza la creazione di «categorie di quote» aventi diritti diversi. I diritti sociali particolari non fanno parte del contenuto della partecipazione, ma ineriscono alla persona del socio. Altri, valorizzando l’autonomia privata dei soci e muovendo dall’assenza di un divieto esplicito sul punto, dicono che le predette scelte contrattuali sul superamento del principio di proporzionalità tra conferimento e partecipazione sociale, possano essere oggettivate, dando luogo a diverse “categorie di quote”. Le categorie di quote sono inammissibili nella srl.
Nella vigente normativa di settore non è più richiamato il concetto di divisibilità della quota di s.r.l. presente nel vecchio art. 2482 c.c., me è recuperabile in via interpretativa, e prevedeva, salva diversa disposizione statutaria, la divisibilità delle quote in caso di alienazione e di successione per causa di morte, purché fossero rispettate le norme in materia di valore nominale della partecipazione. Il Legislatore della riforma non fa più alcun riferimento alla divisibilità della quota di s.r.l., limitandosi a disciplinare i rapporti fra i comproprietari della quota di partecipazione e di questi con la società. La mancata riproduzione di tale norma non deve indurre a ritenere che sia venuto meno il principio di divisibilità naturale della partecipazione. Il fatto che non sia stata sancita tale caratteristica si giustifica con la superfluità sopravvenuta di una disposizione ad hoc, considerato il venire meno della norma che imponeva il valore minimo della quota (1 euro) o il riferimento a multipli di quel valore minimo in sede di divisione. L’assenza di una disposizione normativa specifica non impedisce la divisibilità della partecipazione anche nella nuova disciplina. La divisibilità non significa divisione automatica della quota, per la quale è necessario un atto intercorrente tra tutti i contitolari.
Dopo la riforma del 2003 l’autonomia privata può declinarsi direttamente nel senso di: stabilire in modo espresso l’indivisibilità della partecipazione; prevedere regimi intermedi volti ad evitare la proliferazione del n. delle quote. La partecipazione sociale può essere indirettamente indivisibile in forza di: clausole assolute di intrasferibilità (indivisibilità totale, salvo la sorte della partecipazione in caso di morte del socio che ne sia titolare); clausole relative di intrasferibilità (indivisibilità relativa); previsioni dell’atto costitutivo idonee a fissare un valore nominale minimo alle partecipazioni; previsioni nell’atto costitutivo tese a standardizzare le partecipazioni sociali abbinate a clausole che impongano il divieto di alienazione a terzi. Dal 2003 l’indivisibilità convenzionale, diretta o indiretta delle partecipazioni, deve essere accompagnata da una regolamentazione convenzionale della sorte dei diritti connessi a siffatte partecipazioni.
L’art. 2468 c.c. recita: “Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di sollecitazione all’investimento” per evitare che, con l’emissione di titoli di credito di massa, diventi agevole proporre agli investitori la partecipazione al capitale di rischio nel modello societario s.r.l. Entro i confini del divieto di sollecitazione all’investimento vanno annoverati: il collocamento delle partecipazioni sul mercato primario; il collocamento delle partecipazioni sul mercato secondario; le sollecitazioni indirette. Bisogna interrogarsi sulla sanzione conseguente alla violazione dell’ultimo divieto analizzato. La dottrina è univoca nel ricondurre gli effetti dei negozi posti in essere in spregio di tale divieto entro la classe delle invalidità e in quella delle nullità preso atto della connotazione imperativa della norma che lo veicola. L’accordo tra gli interpreti viene meno allorché si tratti di comprendere quale tipologia di nullità debba essere applicata nel caso concreto. Parte della dottrina, preso atto dell’assenza di una previsione espressa sul punto, evoca la categoria delle “nullità virtuali”, mentre altra parte della medesima evoca la categoria delle “nullità relative”, ricavabile dal codice del consumo e dall’art. 100 bis, comma terzo, T.U.F. La quota sociale è un rapporto frazionario espresso o si valuta mettendolo in relazione con l’ammontare del capitale sociale.