Srl: esclusione del socio
L’art. 2473 bis c.c., ponendosi accanto all’ipotesi di esclusione legale prevista dall’art. 2466 c.c. per il socio moroso, disciplina l’esclusione convenzionale del socio.
Dal 2003 c’è la possibilità di escludere convenzionalmente uno o più soci nella srl. La facoltà di introdurre ipotesi di esclusione convenzionata è disciplinata dalla normativa codicistica. L’elasticità del tipo sociale in esame e l’autonomia concessa ai privati in materia legittimano la previsione dell’art. 2473 bis c.c. a norma del quale «L’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio». Il Legislatore della riforma ha aperto le porte ad una “fantasia statutaria” che non si presta, oggi, a specifiche limitazioni. I presupposti dell’esclusione: l’esclusione non è prevista dalla legge, ma è subordinata ad una previsione statutaria; si è passati, con la riforma, da un sistema “chiuso” di esclusione, dove era relegata alle sole ipotesi di morosità del socio, ad un sistema “aperto” dove le ipotesi convenzionali di esclusione possono atteggiarsi in vario modo ed assumere forme differenziate. L’atto costitutivo non può limitarsi a prevedere la generica possibilità di escludere il socio per giusta causa, dovendo indicare specifiche ipotesi di esclusione sorrette dalla medesima. La clausola generica di esclusione è quindi illegittima. Tali specifiche declinazioni dell’autonomia privata incontrano un “limite interno” al loro operare: di dover essere confortate da una “giusta causa”. La clausola convenzionale che regola l’esclusione non può prescindere mai dalla sussistenza di una giusta causa. Le ipotesi statutarie di esclusione per giusta causa devono esser specifiche.
Singole ipotesi di esclusione. L’ipotesi normativa di esclusione, a norma dell’art. 2466 c.c. si ha quando il socio è moroso, sono mancate offerte dai soci con riferimento alla sua partecipazione e l’incanto è andato deserto, l’organo amministrativo dovrà procedere all’esclusione del socio. Dalla sua comunicazione a questo essa diverrà efficace. Il socio potrà fare opposizione adducendo alternativamente o cumulativamente il difetto di comunicazione delle diffide ad adempiere e/o il rispetto dell’impegno assunto. L’esclusione del socio non comporta l’impossibilità per chi ne sia destinatario di impugnare le delibere.
Sarà possibile prevedere l’esclusione del socio che: subisca condanne penali di una certa gravità; fallisca; sia dichiarato interdetto o inabilitato; avendo promesso l’esecuzione di un’opera e/o di un servizio non sia più in grado di adempierle; abbia conferito in godimento un bene poi perito.
Nelle società di persone tale sono i soci che deliberano l’esclusione per teste (art. 2287 c.c.); nelle società cooperative la competenza è rimessa agli amministratori (art. 2533 c.c.). Le opinioni che si contendono il campo, in materia di s.r.l. sono: alcuni, che la competenza sia dell’organo amministrativo; altri, maggioritari, assegnano tale competenza ai soci i quali potranno provvedervi ai sensi degli artt. 2479 e 2479 bis c.c. Senza supporti positivi, l’autonomia privata non è in grado di predisporre una clausola di esclusione nella quale la decisione spetti all’autorità giudiziaria posto che, salvo i casi previsti dalla legge, non pare che a quest’ultima possa competere un potere così penetrante nei riguardi della compagine sociale. Non ci sono regole da seguire per la motivazione dell’esclusione. Spetta all’autonomia privata, che dovrà esplicarsi per fornire all’escluso le garanzie tipiche dei modelli societari che conoscono tale istituto. Assume rilevanza l’obbligo di motivazione della decisione di esclusione ed informare il destinatario atteso che dal corretto espletamento di tale onere discende la possibilità per il socio escluso di valutare l’opportunità di procedere all’impugnativa del provvedimento teso ad estrometterlo dalla compagine sociale. La tutela di cui è destinatario il socio escluso nei riguardi di coloro che ne hanno determinato l’esclusione passa per il corretto espletamento dell’onere di comunicazione al medesimo del provvedimento di esclusione per consentite di prendere atto del suo contenuto e parametrare la propria strategia difensiva. L’esclusione del socio può prestarsi ad abusi e rappresentare uno strumento di prevaricazione delle maggioranze sulle minoranze societarie. Gli strumenti di tutela di cui l’escluso dispone si differenziano a seconda che l’esclusione abbia operato automaticamente o sia scaturita da una decisione dell’organo competente ad assumerla. Nel primo caso l’escluso potrà stimolare, con un’azione di accertamento negativo, la verifica dell’insussistenza dei presupposti per l’operare dell’esclusione. Nella seconda ipotesi, troveranno applicazione le comuni regole poste dall’ordinamento societario, all’art. 2479 c.c., per impugnare le decisioni dei soci, non essendo necessario che la facoltà di impugnativa sia contemplata nello statuto. Per la liquidazione della partecipazione, l’art. 2473 c.c. dispone che «si applicano le disposizioni del precedente art». Al pari di quanto accade in tema di recesso: la quota deve essere rimborsata entro 180gg dall’esclusione; il rimborso avviene in base al “valore di mercato” alla data in cui si è verificata l’esclusione; il rimborso può avvenire anche con acquisto dagli altri soci o da un terzo individuato dai soci. A differenza di quanto previsto per il recesso, è «esclusa la possibilità del rimborso della partecipazione con riduzione del capitale sociale». Da ciò discende un dubbio sull’ipotesi in cui la società non disponga di risorse patrimoniali utili allo scopo liquidativo. Alcuni ritengono che, ove non sia possibile il rimborso della quota con le modalità previste dalla legge, si passi direttamente allo scioglimento della società, altri individuano nella carenza di risorse utili a tal fine un limite negativo alla procedura di esclusione, la quale non sarà percorribile. La dottrina e la giurisprudenza non concordano sulla derogabilità dei criteri di determinazione del valore della quota, mentre non si dubita dell’inderogabilità del congegno liquidatorio atteso che risponde ad esigenze extra sociali. La dottrina è propensa a ritenere modellabile tale aspetto posto che la logica che presiede al procedimento di esclusione è speculare a quella sottesa alla procedura di recesso e l’escluso potrebbe essere da sanzionare e non da tutelare. La giurisprudenza di merito, in ossequio al principio di parità di trattamento, esclude la legittimità di una clausola che imponga un valore di liquidazione “di libro” con l’esclusione dal riparto delle plusvalenze acquisite dalla società nella sua vita. Senza precisazioni statutarie è competente a decidere l’esclusione la compagine sociale. Una clausola statutaria che rimette la decisione dell’esclusione al giudice è sempre illegittima. Il socio escluso ha diritto alla liquidazione della partecipazione secondo i criteri fissati dalla legge per il recesso. I criteri legali di determinazione della quota per la liquidazione non sono mai modificabili dai soci.