In esito alla stipulazione del contratto di sottoscrizione sorge in capo ai soci un’obbligazione avente per oggetto il versamento.
Indice della guida
- Conferimento in denaro → se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro e alla sottoscrizione dev’essere versato all’organo amministrativo individuato nello statuto almeno il 25% dei conferimenti in danaro e l’intero sovrapprezzo subito alla sottoscrizione. La banca rilascia una ricevuta che non deve più essere, come in passato, allegata all’atto costitutivo, ma può direttamente essere inviata al Registro delle imprese all’iscrizione della società. Con la legge 2013 n. 99 la procedura è stata snellita: il versamento dovrà essere effettuato dall’organo amministrativo individuato nell’atto costitutivo e i mezzi di pagamento dovranno essere indicati.
- Conferimento in natura o di crediti → Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate alla sottoscrizione. Alcuni si riferiscono ad un consenso idoneo al trasferimento. Per Per considerare liberato il conferimento in natura è sufficiente che sia stato prestato quel consenso idoneo a spostare la titolarità di quanto ne è oggetto dalla disponibilità del conferente a quella della società conferitaria. Ove oggetto del conferimento fosse un bene immobile, la proprietà sarebbe trasferita con l’accordo delle parti manifestato nelle forme previste dalla legge. La proprietà del bene oggetto del conferimento si trasferirebbe in forza dell’accordo tra conferente e società conferitaria cristallizzato nell’atto costitutivo. Secondo altri occorre rifarsi alla materiale disponibilità del bene, e non sarebbe sufficiente il consenso idoneo al trasferimento della proprietà, ma occorrerebbe la concreta messa a disposizione del bene conferito (o credito) alla società conferitaria. Altri ancora considerano compatibile con il concetto di “integrale liberazione” la permanenza, in capo al conferente, di taluni obblighi. L’integrale liberazione non dovrebbe intendersi in modo che, dopo l’esecuzione del conferimento, sul soggetto che vi abbia provveduto non sopravvivano degli obblighi;
- Conferimento di opera e/o di servizi → la legge non dice espressamente in cosa si sostanzi la prestazione di opera o servizi effettuata dal conferente in favore della società conferitaria.
Riforma srl
Con la riforma del 2003 è stata introdotta una novità rispetto alla disciplina della Spa L’art 24644 cc stabilisce che «il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri». La fideiussione sostituisce il versamento e non il conferimento. Oggetto di conferimento resta il denaro e non la fideiussione; «il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in danaro
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Sovrapprezzo
Il sovrapprezzo deve essere versato per intero. Fin dal momento della stipula dell’atto costitutivo è possibile prevedere un sovrapprezzo. Nella disciplina ante riforma, ove non era prevista tale possibilità, si riteneva che la società potesse essere finanziata dai soci, ma solo dopo la sua costituzione. Oggi è possibile prevedere un sovrapprezzo per finanziare la società, anche in sede di costituzione e in tema di aumento del capitale sociale. Se la società deliberasse l’aumento del capitale sociale, con esclusione o limitazione del diritto di sottoscrizione preferenziale dei soci, la legge stabilisce che dovrà essere accompagnata dal sovrapprezzo. L’aumento di capitale deve essere programmato secondo il valore effettivo della società. Il sovrapprezzo è la volontà dei soci originari che la differenza tra capitale sociale e patrimonio non volga a vantaggio del terzo sottoscrittore, in quanto il sovrapprezzo è il “prezzo in più” che questi deve pagare per avvantaggiarsi di una ricchezza che non ha contribuito a produrre, ma di cui godrebbe per mezzo della sottoscrizione dell’aumento. La mancata previsione del sovrapprezzo volgerebbe a vantaggio del terzo sottoscrittore in quanto costui, essendo divenuto membro della compagine sociale, concorrerebbe al riparto del patrimonio sociale pur non avendo contribuito al suo incremento. Il Legislatore della riforma corregge, intervenendo impedendo che i terzi ci guadagnino, questa anomalia statuendo che nel caso di aumento del capitale sociale, con esclusione o limitazione del diritto di sottoscrizione preferenziale dei soci originari, il sovrapprezzo è necessario. Stesso problema quando deriva dai soci originali, qui quando la società voglia che la differenza tra capitale sociale e patrimonio vada a suo vantaggio imporrà il sovrapprezzo nella delibera di aumento. Quando invece voglia che tale differenza vada a vantaggio dei soci sottoscrittori non imporrà il sovrapprezzo nella delibera di aumento. La funzione del sovrapprezzo in fase di costituzione è diversa da quella che lo stesso assolve in materia di aumento del capitale sociale: in fase di costituzione, il sovrapprezzo, non essendoci una differenza tra capitale e patrimonio, finanzia l’attività sociale con l’incremento del patrimonio; in sede di aumento del capitale sociale, il sovrapprezzo ha funzione perequativa.
Ruolo del notaio
Il notaio, posto che l’atto costitutivo deve rivestire la forma dell’atto pubblico, dovrà, in presenza di tutte le condizioni previste dalla legge per la costituzione, entro 20 gg dalla sua stipulazione, curarne il deposito presso il Registro delle Imprese.
Interpretazione dell’atto costitutivo di Srl alcuni valorizzando il dato personalistico che connota tale modello societario in esito alla legge di riforma del 2003, hanno ipotizzato che, a differenza di quanto non accada per le spa, si possano legittimare interpretazioni supportate da elementi soggettivi oltre a quelle ancorate al dato oggettivo delle risultanze documentali. L’atto costitutivo della srl si uniforma ai criteri ermeneutici fissati per i negozi giuridici, dagli art. 1362 e seguenti cc.
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Clausole di gradimento
Quando si evoca il “gradimento” in ordine alla circolazione della partecipazione sociale si intende fare riferimento alla clausola dell’atto costitutivo che subordina l’efficacia del trasferimento, nei confronti della società, al placet, privo di limiti e motivazioni o sottoposto a limiti e condizioni, all’ingresso in società del cessionario. La clausola di gradimento può essere distinta in:
- clausola di gradimento mero: il soggetto deputato ad esprimerlo o a negarlo non deve motivare la propria scelta, la quale può essere arbitraria. «qualora l’atto costitutivo subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, il socio (può) esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art 2473»; nella srl la clausola di mero gradimento è ammissibile, ma legittima il recesso per il soggetto che vuole cedere la propria partecipazione al terzo che si vede negato il gradimento.
- clausola di gradimento non mero (sottoposto a limiti o condizioni): il soggetto deputato ad esprimerlo o a negarlo deve rispettare la regola statutaria nell’espletare la scelta. Non è disciplinata dal Legislatore, ma rientra nella previsione dell’art. 24691 c.c. («salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo») e non da luogo al diritto di recesso. Serve a tutelare la compagine sociale originaria dall’ingresso di soggetti sgraditi. La clausola di mero gradimento, prima della riforma del 2003, era ammessa dalla dottrina prevalente in quanto benché non vi fosse al riguardo una previsione normativa espressa, poteva essere configurato un regime di intrasferibilità delle quote. Dato che l’assoluta intrasferibilità è un’ipotesi più grave, a contrario si legittimava la validità della clausola di gradimento. Dopo il 2003, con la riforma, il Legislatore ammette il mero gradimento, al pari dei modelli azionari, per la Srl con le seguenti caratteristiche:
- è possibile subordinare il trasferimento delle quote al gradimento «di» altri soci ossia non solo “dei (di tutti i) soci”. Si possono individuare nell’atto costitutivo nominativamente il/i socio/i che ha/hanno il diritto di esprimere il gradimento o si potrebbe ammettere una clausola di statuto che preveda che l’individuazione sia fatta per relationem (con riferimento ad un socio che, in un dato momento storico, abbia la maggioranza degli utili o det requisiti professionali idonei a consentirgli una migliore valutazione in ordine alla persona del cessionario). Ciò che importa, onde evitare l’invalidità della clausola, è che gli attributari siano determinati o determinabili;
- è prevista la possibilità di rimettere il gradimento anche a «terzi»;
- il correttivo all’introduzione di tale clausola o al diniego del gradimento è dato dal riconoscimento del diritto di recesso. La clausola di gradimento, pur configurando un limite alla circolazione delle quote, non incide sulla validità inter partes del contratto di cessione delle quote. La prassi si è strutturata nel senso di fare precedere, a differenza di quanto accade nella prelazione volontaria, il contratto di cessione al rilascio/diniego del gradimento dai soggetti che ne sono titolari, che solo dopo che il contratto si è perfezionato, si pronunceranno al riguardo (determinando o no l’estensione degli effetti, già prodottisi tra le parti, alla società). È discusso se il diritto di recesso spetti di per sé, ossia a prescindere dalla volontà del socio di trasferire la propria quota, per il solo fatto che lo statuto contenga una clausola di mero gradimento o se spetti solo se il gradimento sia negato:
- secondo alcuni il diritto di recesso spetta a prescindere dalla volontà del socio di trasferire la propria quota in quanto depone il tenore letterale della disposizione. Il tenore letterale della norma non ricollega, come sarebbe stato legittimo aspettarsi, l’insorgere del diritto di recesso al concreto diniego del gradimento, ma al semplice fatto che lo statuto contenga una clausola di mero gradimento, la quale, sarebbe idonea a fare scattare tale diritto;
- secondo altri il recesso sarebbe esercitabile solo in seguito al diniego del gradimento, perché: o solo in tal caso ricorre la ratio del correttivo del recesso (evitare che il socio resti «prigioniero» della società); o se si aderisse alla interpretazione letterale, la configurazione della norma ne renderebbe impossibile l’utilizzazione pratica, in quanto è difficile immaginare una società che sottoponga alla regola del mero gradimento la cessione delle quote e, al contempo, si esponga al diritto di recesso dei soci. Aderendo a questa tesi sarebbe legittima una previsione statutaria che consenta l’esercizio del diritto di recesso quando il gradimento sia stato richiesto e negato.
Prelazione impropria
La “prelazione impropria” allude al diritto di preferenza scollegato dal requisito della parità di condizioni (prelazione che scatta in caso di liberalità con ad oggetto la quota o in caso di trasferimenti onerosi ove il contenuto del negozio sia fissato da un terzo o venga determinato in base a risultanze oggettive). La prelazione può esser plasmata dall’autonomia privata in conformità o discontinuità col principio della parità delle condizioni. Sarebbe ragionevole ritenere che la prelazione, pur incidendo sulla scelta della controparte negoziale, debba attuarsi a parità di condizioni, in quanto deve essere garantito a ciascun socio la libertà di fissare il contenuto del contratto di cessione. In concreto, la libertà del cedente di determinare il contenuto del negozio di cessione può prestarsi ad un aggiramento della disciplina della prelazione o allo svuotamento del suo contenuto (il cedente e il cessionario potrebbero accordarsi per “gonfiare” il prezzo offerto per l’acquisto della partecipazione). Se la clausola è inserita nello statuto l’autonomia dei soci in ordine alla circolazione delle partecipazioni verrà incisa tanto sotto l’aspetto della determinazione del contenuto del negozio di cessione quanto nella scelta del soggetto con il quale contrattare. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 89/1989, ha stabilito che nell’autonomia negoziale, in mancanza di un espresso divieto normativo, nulla impedisca che le parti possano decidere di: vietare la circolazione delle partecipazioni a titolo gratuito; subordinare il trasferimento a titolo gratuito della quota alla volontà di acquistarla dagli altri soci, che dovranno corrispondere al cedente il controvalore in denaro. La Corte discorre in questa sentenza di “patto di prelazione atipico”. La dottrina riconosce validità alle clausole che: fissano criteri di determinazione del prezzo di acquisto; e rimettono la determinazione del prezzo a terzi arbitratori. Sarebbe legittima la clausola di prelazione impropria con cui si consenta agli altri soci un diritto di prelazione per un corrispettivo qualitativamente o quantitativamente diverso da quello che il socio riceverebbe dal potenziale acquirente. L’unico limite è che il controvalore in denaro non possa mai essere inferiore a quello riconosciuto al socio cedente, allorché esercitasse il diritto di recesso.
Il rinvio effettuato da una clausola dell’atto costitutivo ad una disciplina che, nel frattempo, sia stata oggetto di innovazione e non risulti più in vigore. Il fenomeno, reso significativo dall’incedere delle novelle legislative in materia societaria, renderebbe palese un problema di coordinamento e adattamento della clausola alla vigente disciplina. Il significato della singola clausola di rinvio deve essere ricostruito alla luce del modo con il quale vengono richiamate le norme di legge. Sotto tale profilo si danno le ipotesi:
- del rinvio generico alla legge tout court o alla normativa regolante il tipo sociale interessato (es. rinvio alle norme in tema di Srl o di spa) o ad un determinato settore normativo (es. norme in tema di controllo sulla gestione o di obbligazioni);
- del rinvio a precisi art individuati col proprio numero
- del rinvio attuato con riproduzione integrale o sintetica o parafrastica del contenuto di una disposizione, sia o no preceduta o seguita dal richiamo all’articolo che la contiene.
Nelle ipotesi 1 e 2 occorre aggiornare il richiamo normativo sulla base delle modifiche intervenute, applicando il diritto vigente alla data di applicazione della clausola, quantunque difforme da quello vigente al tempo della sua creazione e indipendentemente dal fatto che tale diversità emerga per il rinvio a disposizioni ormai fuori contesto o non emerga affatto, se non in forza di inesigibili indagini storiche. Ciò a meno che non risulti dallo statuto un’esplicita esclusione delle future modifiche (derogabili) delle norme di rinvio. Viceversa nell’ipotesi 3 la riproduzione del testo normativo va interpretata come opzione statutaria per il diritto dell’epoca, con esclusione dell’automatico recepimento (ove consentito) di future modifiche, indipendentemente dalle ragioni storiche per cui il redattore della clausola si è orientato per quella riproduzione. Tali ragioni per definizione non contano per chi ritenga doveroso adottare un criterio oggettivo di interpretazione del testo statutario e debba rilevarne la portata letterale in modo da tutelare l’affidamento che vi si può ragionevolmente riporre, di là dalle difficilmente ricostruibili volontà di chi ne è autore.
La negazione della convertibilità di cosa generica, futura o altrui nelle Srl
Preso atto del disposto dell’art. 2464, tali conferimenti non sembrano ammissibili atteso che il conferimento avente ad oggetto cose future, altrui o generiche, risolvendosi solo nell’obbligo del socio conferente di fare conseguire alla società quanto promesso, non consentirebbe alla medesima di acquisire, in via immediata e diretta, l’utilità ad essi sottesa.
Oggetto del conferimento in caso di apporto d’opera e servizi: alcuni dicono che l’oggetto del conferimento sia la polizza di assicurazione o la fideiussione bancaria. L’opera o il servizio non costituirebbero mai l’oggetto del conferimento che sarebbe, invece, dato dal valore di quell’opera o servizio o dalla fidejussione o polizza assicurativa (sia il valore da attribuire all’opera o al servizio sia l’ammontare della garanzia saranno determinati dai soci al conferimento); altri (la maggior parte) dicono che l’oggetto del conferimento non potrebbe che essere un’obbligazione di fare (prestazione l’opera o il servizio promesso); altri ancora parlano della “fattispecie complessa”, in quanto tale conferimento sarebbe costituito in parte dall’obbligazione di fare ed in parte dalla garanzia.
Della possibilità di conferire un’azienda: oggetto di conferimento può essere anche un’azienda in quanto: il conferimento di azienda è utile per lo svolgimento dell’attività sociale; l’azienda è suscettibile di valutazione economica e di iscrizione in bilancio. È discusso se sia conferibile anche l’avviamento. Mentre nel caso di vendita dell’azienda le parti sono libere di determinare il valore dell’azienda, nel caso di conferimento occorre adottare criteri di valutazione oggettivi: secondo alcuni è il legislatore a risolvere positivamente il problema del conferimento dell’avviamento «l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso del collegio sindacale, se è acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro 5 anni»; altri dicono che l’avviamento non può formare oggetto di conferimento in quanto dal punto di vista aziendale non è un bene a sé stante ma una qualità dell’azienda non separabile da esso e quindi inidoneo ad essere conferito indipendentemente dall’azienda cui inerisce; e poi perché l’avviamento può essere iscritto all’attivo solo «nei limiti del costo per esso sostenuto» presuppone che esso sia conseguibile come elemento dell’attivo solo in esito ad operazioni di alienazione onerosa di azienda, non di conferimento. Nella srl il conferimento di cose altrui non è ammissibile.