Particolari questioni applicative sulle decisioni dei soci
Si è voluto enfatizzare il distacco concettuale tra il tipo sociale a responsabilità limitata e quelli azionari per rispondere alle istanze imprenditoriali di più modesta dimensione grazie all’allestimento di uno schema societario plasmabile a seconda delle esigenze della base sociale. Nella s.r.l possono essere importati i sistemi alternativi di governance previsti per i modelli azionari, atteso che mal si concilierebbero con le prerogative gestorie riconosciute direttamente ai soci nel modello societario a responsabilità limitata. In questa prospettiva assume rilevanza il silenzio normativo sul punto, che non giustifica però, in assenza di divieti espliciti, interpretazioni estensive, dovendo essere valutato in ottica sistematica per attribuirgli il corretto significato ordinamentale.
Ci si è chiesti se nella srl è ammissibile che tutta l’attività di gestoria si appunti in capo soci (senza organo amministraivo).
Cosa succede se l’atto costitutivo non prevede niente sulla nomina degli amministratori e modalità di determinazione dei soggetti cui affidare il ruolo gestorio? Alcuni dicono che il potere gestorio si ripartisca tra tutti i soci senza limite temporale (preferibile).
L’«approvazione» dei soci su istanza dell’organo amministrativo è ricostruita come caso di autorizzazione dell’attività gestoria dell’organo amministrativo. L’approvazione dei soci può essere generica o specifica fermo restando che, verso i terzi, la volontà dell’ente verrà sempre esternata dagli amministratori che, quando richiesti di documentare i loro poteri, dovranno produrre la decisione autorizzatoria dei soci. Se non avviene, l’atto compiuto dagli amministratori risulta comunque idoneo a vincolare la società. La richiesta di autorizzazione dell’argano amm, coinvolgendo i soci nell’attività gestoria, pone il dubbio sul discarico dalla responsabilità di chi ha agito per la fedele esecuzione dell’incarico approvato. Alcuni propendono per lo sgravio di responsabilità verso gli amministratori. Altri trovano una corresponsabilità tra organo amministrativo e soci atteso che il primo, benché autorizzato al compimento di un dato atto gestorio, conserva autonomia rispetto alla sua esecuzione di tal che non sembra possibile predicarne l’irresponsabilità salvo che i suoi membri non facciano constare un dissenso espresso o si dimettano. Nella srl il potere gestorio non può competere in toto ai soci in modo che all’organo amministrativo non possa sovrapporsi integralmente a quello decisorio.
Il D.L. 185/2008 ha eliminato il libro dei soci (dal 2009 non è più obbligatorio ma può esser ripristinato dai soci) dall’elenco dei libri sociali obbligatori di cui all’art. 2478 c.c. ma serve comunque per raccogliere le info sui soci e i loro rapporti con la società; controllare e gestire in modo più efficiente le modifiche degli assetti proprietari e la loro incidenza sulla vita sociale. L’abbandono del sistema di rapporti sociali basato sulla iscrizione nel libro dei soci, a favore di un sistema fondato sulle sole risultanze del Registro delle imprese, costringe gli organi sociali ad un monitoraggio costante e limitante. Le risultanze del libro soci facoltativo potranno continuare ad essere impiegate per l’invio degli avvisi di convocazione assembleare.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel 2013 con la sentenza n. 23.218 ha fissato il seguente principio di diritto: “Salvo che l’atto costitutivo della srl non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta gli avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno 8gg prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, non ha ricevuto l’avviso di convocazione o lo ha ricevuto tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza.
Le “deleghe assembleari” per il modello s.p.a. (art. 2372 cc) è dettagliato; per le arl (art. 2479 bis cc) è scarno. Può trovare applicazione il principio della rappresentanza (il socio può conferire ad altro soggetto un delega che gli consenta di prendere parte, in luogo del conferente, ma in nome e per conto del primo, all’assemblea), salva una diversa previsione dell’atto costitutivo. La differente formulazione delle due norme appena richiamate radica il dubbio in merito all’estensibilità della più ricca disciplina, prevista per il modello s.p.a., alle s.r.l. Nella s.p.a., come era anche per la s.r.l. prima della riforma del 2003, il socio, onde evitare non auspicabili commistioni tra i vari organi societari, non può: rilasciare deleghe in favore di componenti dell’organo amministrativo; rilasciare deleghe in favore di componenti dell’organo di controllo. Nella s.r.l. che risulta dalla legge di riforma, nulla è statuito al riguardo. In non sono estensibili le regole delle spa: la norma che regola la materia nelle s.p.a. (che non è stata riprodotta per la s.r.l.), deve essere interpretata come eccezionale; non sarebbero ravvisabili nella s.r.l. le ragioni che, nella s.p.a., giustificano il divieto (nella s.p.a. sarebbe da evitare l’asimmetria derivante dalla commistione, che invece è ricorrente nelle s.r.l., tra potere gestorio, potere di controllo e potere deliberativo che si determinerebbe col fenomeno dell’“incetta di deleghe”). Alcuni, per la delega, dicono che sia necessaria almeno la forma scritta. Altri (minoritari), negano tale necessità argomentando dall’inapplicabilità dell’art. 2372 c.c. alle s.r.l. senza un’espressa clausola dell’atto costitutivo che lo richiami.
L’atto costitutivo di una s.r.l. può contenere i medesimi limiti previsti per le s.p.a.? sì. L’atto costitutivo della s.r.l. può prevedere una clausola con la quale si consenta al socio di rilasciare una delega ad un amministratore o al sindaco? Sì, per rispetto dell’autonomia statutaria; perché la riserva, in favore dell’autonomia privata ha portata sufficientemente ampia da consentire quest’ipotesi. Se da tale circostanza dovesse generarsi un conflitto di interessi tra il socio (rappresentato) e l’amministratore o il sindaco (rappresentante) questo condurrebbe all’applicazione degli articoli 1394 e 1395 cod. civ. Quando si temano difficoltà per il raggiungimento del quorum costitutivo, ma le decisioni da prendere siano idonee a generare un conflitto di interessi (ad esempio: approvazione del bilancio) tra rappresentato (socio) e rappresentante (amministratore o sindaco) sarebbe più prudente prevedere nello statuto che la delega possa essere rilasciata in favore di un soggetto estraneo alla compagine sociale.
Il concetto di «inesistenza» in sede decisoria
La disciplina dell’invalidità delle delibere assembleari presenta novità sia dal punto sostanziale che dal punto di vista procedurale. Il Legislatore del 2003, volendo venire incontro alle esigenze di certezza e celerità nei rapporti giuridici che le società di capitali intrattengono verso i terzi, ha cercato di dare la massima stabilità alle decisioni prese dai soci. Il legislatore del 1942 aveva previsto una disciplina dove: la nullità era ipotesi eccezionale, essendo prevista solo nel caso di oggetto impossibile od illecito; l’annullabilità era prevista per i vizi di procedimento e sostanziali. Per la giurisprudenza tale classificazione non soddisfaceva le esigenze della minoranza o di quelle della conformità alla legge ed era giunta ad elaborare l’inesistenza della delibera.
Tale elaborazione finiva per sanzionare con la nullità delibere che potevano essere viziate solo nel procedimento. Il rischio era di rendere arbitraria la sorte delle delibere oggetto di sindacato. Per eliminare tale incertezza, il Legislatore del 2003 ha usato un parametro generale di invalidità, poi distinto al proprio interno a seconda della natura dei vizi, tra annullabilità (regola generale) e nullità (eccezione). È stata introdotta, per rendere il dettato normativo certo ed evitare il ricorso giurisprudenziale all’inesistenza della delibera, una riserva di legge tesa ad escludere ipotesi di invalidità atipiche. Sono state fissate tre ipotesi tassative di nullità e sono state individuate come ipotesi di annullabilità alcune di quelle che più di frequente erano considerate ipotesi di inesistenza dalla giurisprudenza. La tecnica utilizzata dal legislatore è stata di dotare le delibere assembleari di una certa stabilità: ha previsto che siano annullabili le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto; ha fissato una soglia % di capitale che il socio che intenda impugnare la delibera viziata deve necessariamente possedere; ha innovato i termini per la proposizione dell’azione di nullità (tre anni ad eccezione delle deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili od illecite, impugnabili senza limiti di tempo) e le regole afferenti la sanatoria delle delibere invalide; ha introdotto due articoli in favore della conservazione delle delibere: – l’art. 2379 ter cc per l’invalidità delle delibere in tema di aumento o riduzione del capitale e dell’emissione di obbligazioni, prevedendo più brevi tempi di impugnazione; – l’art. 2434 bis cc che stabilisce che l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio non può essere proposta dopo l’approvazione del bilancio successivo. L’inesistenza delle decisioni dei soci, dal 2003, è stata eliminata a livello interpretativo dall’ordinamento.
Impugnabilità per eccesso o abuso di potere da parte della maggioranza
Il vizio di eccesso di potere nelle delibere assembleari è una causa autonoma dell’impugnativa delle decisioni sociali, non è specificamente disciplinato dalla legge ed è frutto della trasposizione nel diritto commerciale di una categoria propria del diritto amministrativo. Il formante giurisprudenziale ravvisa tale profilo di invalidità allorché la delibera risulti arbitrariamente e fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza a perseguire interessi divergenti da quelli societari o a ledere i diritti del socio. L’abuso di potere è un limite all’esercizio dei poteri della maggioranza, comprimendoli nelle ipotesi in cui tale esercizio sia esclusivamente finalizzato a danneggiare la minoranza. Lo scopo della costruzione del vizio di eccesso di potere risiede nella volontà di impedire che con delibere formalmente legittime vengano perseguite finalità vietate dalla legge. Ad opinione della Suprema Corte l’abuso od eccesso di potere è una violazione della clausola generale della correttezza e della buona fede contrattuale la quale deve informare i rapporti fra i soci, imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere tutte le condotte idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria: le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto di società costituiscono atti di esecuzione del contratto sociale. Col contratto di società viene costituita una comunione di interessi che giustifica la subordinazione della volontà del singolo socio a quella della maggioranza ed esclude che il voto assembleare possa essere utilizzato per perseguire finalità estranee alla causa del contratto di società. Ciascun socio può esercitare liberamente il proprio diritto di voto per il perseguimento di un proprio legittimo interesse, a condizione che non arrechi volutamente agli altri soci un danno. Secondo alcuni, nell’ipotesi di delibere viziate da eccesso di potere sarebbe applicabile l’art. 2373 c.c. Ad opinione di altri, per configurare l’invalidità delle delibere in esame, occorre avere riguardo al superamento della causa del contratto sociale. Altri condividono l’orientamento giurisprudenziale volto a ravvisare la ratio del rimedio riconosciuto ai soci di minoranza nel principio generale di buona fede ex art. 1375 c.c.: l’abuso o eccesso di potere è configurabile allorché la deliberazione risulti deviata rispetto allo scopo economico – pratico del contratto di società (perseguendo un interesse dei soci antitetico rispetto a quello dell’ente) o allorché la delibera risulti diretta a danneggiare i diritti di partecipazione dei soci di minoranza. La prova dell’abuso del diritto dai soci di maggioranza spetta al socio che agisce per ottenere l’annullamento della deliberazione: detta prova potrà essere fornita anche per presunzioni, sulla base di gravi e manifesti indici rivelatori della finalità effettivamente perseguita dalla maggioranza con la delibera.
Il tema dell’«assenza assoluta di informazione»: tale vizio determina, dopo la riforma del 2003, la nullità della decisione assunta dai soci di s.r.l. I casi sono quelli di mancata convocazione dell’assemblea; mancanza del verbale; altri vizi del procedimento decisionale dei soci. La violazione delle norme e delle disposizioni statutarie che disciplinano la comunicazione dell’avviso di convocazione deve essere valutata tenendo presente la necessità di verificare l’idoneità della stessa ad assolvere la sua funzione tipica: la convocazione di un’assemblea è un atto recettizio con cui è dato avviso ai soci della data e del luogo dell’adunanza. La convocazione è lo strumento di info predisposto dall’ordinamento per consentire agli aventi diritto di conoscere che l’assemblea della società si terrà e di intervenirvi. Mentre è giustificabile una reazione radicale dell’ordinamento avverso la delibera di un’assemblea rispetto alla quale non sia stata data ai soci l’opportunità di partecipare e di esprimere in tale sede la propria volontà, ove, al contrario, tale opportunità sia stata, in concreto, offerta ai soci appare più adeguata una reazione capace di bilanciare le contrapposte esigenze di certezza e di stabilità delle deliberazioni societarie.
Nel caso in cui il mancato rispetto delle modalità di convocazione fa presumere che alcuni soci non siano stati informati, l’assemblea non potrebbe dirsi validamente costituita ed un’eventuale delibera in tale sede assunta dovrebbe ritenersi nulla.
Nel caso in cui tutti i soci siano stati informati, ma in maniera diversa da quella prevista dalla legge o dallo statuto, la convocazione dovrebbe ritenersi esistente ma irregolare, con l’annullabilità della deliberazione assunta dall’assemblea.
Il regime delle delibere (viziate) di modifica dell’atto costitutivo Il termine triennale per l’esercizio dell’azione di nullità delle deliberazioni assembleari aventi oggetto illecito, ad opinione della dottrina maggioritaria, vale anche per le delibere assembleari di modifica dello statuto/atto costitutivo con le quali si introducano clausole vietate dalla legge. Decorso il termine triennale, la delibera nulla non può essere impugnata. Quando la clausola illecita ha natura organizzativa sorge il dubbio se risulti idonea a giustificare ed a rendere conseguentemente validi, sottraendoli alle normali sanzioni stabilite dall’ordinamento, quei successivi procedimenti decisionali e comportamenti che potrebbero essere tenuti in conformità alla clausola ma in contrasto con norme inderogabili di legge; e se i successivi procedimenti decisionali e comportamenti, ove conformi alla legge e contrastanti con quanto prescritto dalla clausola illecita, possano andare incontro alla comminatoria delle sanzioni stabilite per non conformità allo statuto/atto costitutivo. Ad opinione del Consiglio notarile di Milano tre argomenti depongono nel senso della necessità di valutare i successivi procedimenti e comportamenti pertinenti al rapporto sociale alla luce della normativa inderogabile di legge e non già delle clausole statutarie illecite, ancorché introdotte nello statuto da più di tre anni.
Il sistema di amministrativo monistico non è espressamente vietato. L’art 2479 è un’autorizzazione. I componenti dell’organo amministrativo non possono esser destinatari di deleghe dai soci. La spedizione della convocazione all’indirizzo dei soci è rilevante per la validità della loro convocazione.