Il tasso di cambio è il numero di unità di moneta estera che può essere acquistata con un’unità di moneta nazionale.
È determinato dal valore di mercato delle valute sul mercato internazionale: come ogni altra merce il suo prezzo dipende dalla domanda e dall’offerta di valuta.
La bilancia dei pagamenti è lo schema statistico che registra le transazioni economiche realizzatesi, in un det periodo di tempo, tra residenti e non in un’economia.
Le transazioni registrate nella bilancia dei pagamenti hanno per oggetto lo scambio tra residenti e non di beni, servizi, redditi, trasferimenti unilaterali e attività finanziarie.
La bilancia dei pagamenti è articolata in quattro sezioni: Conto corrente (transazioni relative a beni e servizi, redditi da lavoro dipendente e da capitale, trasferimenti correnti); Conto capitale (acquisizioni, al netto delle cessioni, di attività non finanziarie e misura la variazione del PN dovuta al risparmio ed al trasferimento in conto capitale, investimenti diretti da e per l’estero; crediti commerciali); Conto finanziario (redatto dalla Banca d’Italia per il Paese, per singoli settori e per il Resto del mondo, descrive le variazioni nelle attività e passività finanziarie con cui il Paese o i settori istituzionali assumono debiti o concedono crediti); Errori ed omissioni.
In ciascun conto si registrano debiti (aumento di attività o diminuzione di passività): le uscite di moneta conseguenti ad acquisti di beni e servizi (importazioni), pagamenti di redditi, trasferimenti unilaterali, acquisizioni di attività non finanziarie non prodotte, aumenti di attività o diminuzioni di passività finanziarie sull’estero; crediti (diminuzione di attività del paese o aumento di passività): le entrate di moneta derivanti da vendite di beni e servizi (esportazioni), incassi di redditi, trasferimenti unilaterali, cessioni di attività non finanziarie non prodotte, diminuzioni di attività o aumenti di passività finanziarie sull’estero.
Se si considerano le sole partite correnti, la domanda e l’offerta di una valuta dipende dall’andamento della bilancia commerciale: ogni acquisto della merce di un Paese straniero è anche una richiesta della sua valuta e ad ogni vendita di una merce nazionale è anche offerta di valuta nazionale.
Le esportazioni sono le operazioni attive della bilancia dei pagamenti, perché danno luogo a riscossioni dall’estero.
Le importazioni invece sono le operazioni passive perché danno luogo a pagamenti a favore dell’estero.
Situazioni del conto corrente della bilancia dei pagamenti:
– esportazioni=importazioni: l’economia di quel Paese è in equilibrio con l’estero.
Dato che le importazioni e le esportazioni complessive verso tutti i Paesi di un Paese si eguagliano, anche le riscossioni e i pagamenti si bilanceranno, se non si considerano i saldi delle altre sezioni della bilancia dei pagamenti.
– esportazioni e importazioni divergono: surplus delle partite correnti, che genera un avanzo dei pagamenti (esportazioni>importazioni); o deficit delle partite correnti (importazioni>esportazioni) che determinano un disavanzo dei pagamenti.
Il deficit o il surplus della bilancia dei pagamenti determina una conseguenza nella bilancia valutaria della BC di un Paese: i Paesi in cui le cui importazioni>esportazioni, registrano un deficit valutario e devono attingere alle proprie riserve valutarie o di oro per colmarlo; i Paesi in cui le cui esportazioni>importazioni, registrano un surplus valutario e un incremento delle proprie riserve valutarie o di oro.
Ad eccezione per il Paese che ha la moneta di riserva, gli squilibri della bilancia dei pagamenti dovrebbero essere solo temporanei, sia in caso di surplus che deficit.
Ipotizziamo che un Paese registri un deficit della bilancia dei pagamenti: può sì saldare il deficit della propria bilancia con pagamenti effettuati con le sue riserve internazionali, ma queste riserve non sono illimitate.
Se il deficit nei confronti dell’estero fosse persistente, la BC del Paese tenderebbe presto ad esaurirle.
È vero che il paese deficitario può far fronte al deficit grazie al credito concesso dagli altri paesi, ma il credito che l’estero è disposto a concedere deve ritenersi illimitato.
Se il surplus nei confronti dell’estero fosse persistente, la BC del Paese tenderebbe ì ad accumulare molte riserve valutarie.
Gli squilibri valutari dovrebbero essere temporanei perché, dal punto di vista del paese deficitario, l’eccesso delle importazioni sulle esportazioni è un afflusso netto di beni prodotti da collettività estere, mentre per un Paese in surplus l’eccesso delle esportazioni è una sottrazione netta dei beni all’uso della propria collettività, senza contropartita in un equivalente valore di beni provenienti dall’estero.
I processi di riequilibrio delle bilance possono essere automatici (spontanei dai meccanismi di funzionamento del sistema monetario internazionale vigente) o deliberati (decisi dalle autorità di politica economica per riparare i limiti degli aggiustamenti automatici).
Le iniziative di politica economica, le misure di politica monetaria, di politica del bilancio pubblico, di politica dei redditi possono essere deliberatamente indirizzate al riequilibrio delle bilance con più rapidità e minori sacrifici di quanto non sarebbe dato ottenere con i soli processi automatici di aggiustamento.
I meccanismi automatici dipendono dal sistema monetario esistente che dipende: dalla valuta di riserva utilizzata; dall’esistenza di cambi flessibili o fissi.
I meccanismi di aggiustamento automatici o deliberati saranno considerati nei sistemi esistenti.
La riserva valutaria èil deposito di moneta straniera controllato da una BC nazionale.
Il sistema aureo è il sistema monetario internazionale fondato sull’oro (gold standard).
Dal 1815 conservò uno standard bimetallico (oro e argento), ma l’oro era sopravvalutato dalla Zecca, pertanto le monete d’oro, le “ghinee” rimpiazzarono quelle d’argento.
Nelle guerre napoleoniche la Banca d’Inghilterra, con l’autorizzazione del governo, sospese la convertibilità delle monete emesse, si rifiutò di pagare oro e argento in cambio delle proprie banconote e utilizzò il signoraggio per far fronte alla guerra.
Dopo la vittoria su Napoleone, il governo decise di ritornare ad uno standard metallico, ma scelse l’oro invece dell’argento, nonostante la moneta fosse ancora chiamata sterlina.
L’unità di conto fu la sterlina d’oro.
La prima nazione dopo l’Impero britannico ad aderire al gold standard fu il nuovo Impero tedesco.
Negli Stati Uniti, durante la guerra civile, sia gli Stati del Nord industrializzati e protezionisti (per difendere le loro industrie nascenti dalle affermate industrie britanniche), che quelli del Sud agricoli e libero scambisti (per non vedersi imporsi dazi alle esportazioni dei propri prodotti agricoli), emisero moneta inconvertibile per sostenere le spese di guerra e il Gold standard fu adottato nel 1900.
Dopo la crisi del bimetallismo nel 1871, il sistema aureo venne adottato dalle maggiori potenze economiche dell’epoca.
Nel 1816 l’Inghilterra riconosce l’oro come moneta principale in circolazione, fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
Nelle singole nazioni aderenti, le monete in circolazione o erano di metallo prezioso o erano convertibili in oro.
Questo non significa che le monete dei singoli paesi fossero rappresentate da pezzi del metallo, ma che i singoli governi definivano l’unità monetaria circolante nel paese in termini di oro: a ciascuna unità di moneta corrispondeva un determinato quantitativo di oro: parità aurea.
La moneta circolante, in ogni nazione aderente al gold standard era convertibile in oro presso le BC delle nazioni.
Le nazioni aderenti si impegnavano a possedere una massa complessiva di moneta proporzionale con 1 oro posseduto nelle riserve bancarie del Paese: questa condizione era l’unica che rendesse possibile la reciproca convertibilità dell’oro in moneta nazionale e viceversa; le nazioni che aderivano al sistema si impegnavano al libero movimento dell’oro, sia in forma di moneta, sia di oro greggio.
L’insieme dei requisiti stabiliti per aderire al gold standard determina due conseguenze: la rinuncia alla discrezionalità nella politica monetaria; un sistema di cambi fissi legato alle definizioni dell’unità monetaria in termini di oro e alle spese che si sostengono per trasferirlo da una nazione ad un’altra.
Il cambio tra le monete è facilmente desumibile nel gold standard.
Se il governo statunitense dichiara che ad ogni dollaro corrispondono 0,10 grammi d’oro, ed il governo inglese definisce ogni sterlina essere convertibile in 0,20 grammi di oro, il cambio ufficiale tra le due monete è di una sterlina ogni due dollari.
Useremo da ora il cambio 5 dollari per una sterlina.
Perché nel gold standard i cambi furono fissi e variarono poco intorno al cambio sopra delineato: supponiamo che sul mercato valutario, a fronte di un incremento della vendita di prodotti dall’Impero inglese agli USA esista una accresciuta domanda di sterline e che per vendere una sterlina gli operatori economici vogliano più dei 5 dollari, come stabilito dalle parità auree dichiarate dalle due nazioni.
Colui che desidera acquistare le sterline cedendo dollari può portare i dollari ad una Banca americana e ottenere in cambio l’oro; poi può spedirlo alla Banca di Inghilterra e ottenere in cambio le sterline previste.
Finché le BC degli Stati coinvolti rispettano la regola della convertibilità sulla base della parità dichiarata, il cambio tra due monete cartacee sarà sempre determinato dal rapporto tra le parità di queste monete rispetto all’oro.
Esiste però un margine di fluttuazione.
Supponiamo che gli USA abbiano la bilancia dei pagamenti in deficit mentre l’Impero Britannico in surplus.
Supponiamo che il deficit statunitense e il surplus siano dovuti entrambi ad un deficit e ad un surplus della bilancia delle partite correnti.
Allora gli USA hanno un eccesso di importazioni sulle esportazioni e l’impero britannico un eccesso di esportazioni sulle importazioni.
Per pagare le importazioni britanniche, gli importatori statunitensi domanderanno sterline sui mercati valutari, mentre i britannici, per pagare le merci che importano dagli USA domanderanno dollari.
Gli statunitensi per acquistare sterline offriranno dollari in cambio, per cui la domanda di sterline è eguale all’offerta di dollari e viceversa.
Abbiamo ipotizzato che esista uno squilibrio della bilancia dei pagamenti, perché gli statunitensi importano più di quanto esportano.
Conseguentemente la domanda di sterline sarà più alta dell’offerta di dollari.
L’ascesa del cambio non potrà superare i punti dell’oro: l’ascesa del cambio sterlina-dollaro si arresterà al punto superiore dell’oro.
Dal momento che la parità sterlina-dollaro è 1/5, cioè 1 sterlina=5 dollari, se ipotizziamo le spese di assicurazione e spedizione di 5 grammi d’oro dagli Usa alla Germania siano pari a 0,5 dollari, non appena il cambio raggiunge il livello per cui per acquistare una sterlina occorrono 5,5 dollari, il prezzo della sterlina in termini di dollari non salirà più, data la possibilità della conversione in oro delle due valute.
Pertanto, una volta che il cambio ha raggiunto il punto superiore dell’oro, gli operatori commerciali statunitensi non acquisteranno più sterline sul mercato delle valute, ma spediranno oro in Gran Bretagna.
Ma questo avrebbe una conseguenza sulla politica monetaria interna agli USA: l’oro comincerebbe a defluire dagli USA verso l’Impero britannico, dai forzieri delle Banche statunitensi alla Banca d’Inghilterra.
Questa circostanza (che i dollari vengono restituiti al sistema bancario) comporta che negli USA si ha una diminuzione della quantità di moneta, sempre che le BC non reintroducano dollari in circolazione, ad esempio comprando obbligazioni sul mercato finanziario.
Ma è difficile che questo accada, perché qualora le banche americane effettuassero l’acquisto di obbligazioni sul mercato finanziario, presto non avrebbero più una quantità di oro sufficiente a convertire i dollari e dovrebbero dichiarare la non convertibilità uscendo dal sistema.
Viceversa, se l’impero britannico registrerebbe un incremento della quantità di moneta in circolazione.
Anche la Banca di Inghilterra dovrebbe rispettare le regole del sistema, per cui, aumentando le sue riserve auree, dovrebbe lasciar espandere la quantità di moneta in circolazione.
Se vuole rispettare il sistema aureo, deve evitare di vendere obbligazioni, che sterilizzerebbero una parte della moneta in circolazione.
La variazione della quantità di moneta in circolazione nelle due economie, nel sistema aureo, determina il riequilibrio automatico della bilancia dei pagamenti.
Secondo la teoria quantitativa della moneta, il livello generale dei prezzi dipende dalla quantità di moneta in circolazione e, un aumento della quantità di moneta in circolazione determina un aumento del livello generale dei prezzi e viceversa.
Dato che negli Usa si ha una diminuzione della quantità di moneta e viceversa nell’Impero britannico, i prezzi delle merci statunitensi diminuiranno e quelli delle merci britanniche aumenteranno.
Sia i commerciali britannici che statunitensi troveranno più conveniente comprare le merci statunitensi anziché quelle britanniche.
La teoria quantitativa si attende che la domanda di merci statunitense salga e che le esportazioni statunitensi aumentino, e che accada il contrario per quelle britanniche.
Le bilance dei pagamenti dei due Paesi tenderanno così a tornare in equilibrio.
Secondo questa teoria il ritorno all’equilibrio della bilancia dei pagamenti comporta nuovi prezzi delle merci nei due Paesi, diversi da quelli iniziali: prima l’equilibrio passa per un abbassamento dei prezzi delle merci statunitensi ed un aumento dei prezzi delle merci britanniche e da una diversa distribuzione dell’oro tra i due Paesi.
Nella teoria quantitativa le industrie dei due Paesi continueranno a lavorare, che ci sarà piena occupazione: l’unica riduzione sarà quella dei salari dei lavoratori e dei prezzi delle merci prodotte.
Diverso è l’aggiustamento automatico secondo la teoria keynesiana.
L’aumento della quantità di moneta nell’Impero britannico e la diminuzione negli USA (per tornare all’es) non si scaricherebbe sui prezzi delle merci, ma determinerebbe una diminuzione del tasso d’interesse nell’Impero britannico e un aumento negli USA.
Nell’Impero britannico, i minori tassi d’interesse determinano un aumento degli investimenti, che con il moltiplicatore degli investimenti, determina un aumento del reddito nazionale e dell’occupazione.
Una diminuzione della quantità di moneta degli USA invece determinerebbe il rialzo del tasso d’interesse, diminuzione degli investimenti, diminuzione del reddito e dell’occupazione.
Gli USA importerebbero di meno anche qui, ma non per via dei prezzi, ma per la diminuzione del reddito.
Finora abbiamo fatto l’ipotesi di considerare la sola bilancia commerciale.
Il quadro si articola se si considera anche il conto capitale e finanziario della bilancia dei pagamenti.
Le variazioni del tasso d’interesse dell’es avrebbero anche una conseguenza sul flusso dei capitali diretti e delle partite finanziarie.
Il Paese dove si registrasse l’aumento del tasso di interesse registrerebbe un aumento degli investimenti di portafoglio e un ingresso di capitali stranieri.
Si dice l’aumento dei prezzi nel Paese in cui è affluito l’oro e la diminuzione dei prezzi in una Nazione in cui fuoriuscisse l’oro, sono aggiustamenti automatici.
In realtà non è così e dobbiamo a due economisti la spiegazione della condizione necessaria perché l’abbassamento del prezzo delle merci comporti un miglioramento della bilancia commerciale: Marshall e Lerner e la condizione delle elasticità critiche.
L’elasticità della domanda rispetto al prezzo fu elaborata da Walras e indica la variazione % della domanda di un prodotto o servizio, cioè quantità venduta di quel prodotto Q, rispetto ad una variazione % del suo prezzo: ep=ΔQ/Q/Δp/p.
L’ elasticità incrociata misura invece la variazione della quantità venduta di un prodotto al variare del prezzo di un altro: ep=ΔQ/ Q/Δp1/p1.
Gli incrementi possono essere fatti tendere a zero in modo da considerare variazioni infinitesime ed utilizzare i relativi strumenti di calcolo infinitesimale.
Quando una variazione del prezzo di un bene dell’1% genera una variazione della quantità domandata >1% si ha una domanda elastica rispetto al prezzo (una diminuzione del prezzo aumenta il ricavo totale).
Quando una variazione del prezzo dell’1% genera una variazione della quantità domandata <1% si ha una domanda rigida rispetto al prezzo (una diminuzione del prezzo riduce il ricavo totale).
Quando una variazione del prezzo dell’1% genera una variazione della domanda del 1% si ha una domanda a elasticità unitaria (una diminuzione del prezzo lascia invariato il ricavo totale).
Ogni bene differisce dall’altro per l’elasticità, ossia la sensibilità alle variazioni del prezzo.
L’elasticità della domanda dipende da numerosi fattori economici.
Marshall e Lerner hanno dimostrato che si ottiene un riequilibrio della bilancia commerciale internazionale di un Paese in deficit solo quando la somma delle elasticità della domanda di esportazioni e di importazioni è > 1.
Una bilancia commerciale in equilibrio comporta l’equilibrio tra le importazioni e le esportazioni.
B=XP – EMP* in cui E è il cambio nominale, il prezzo di una unità di valuta estera in termini di valuta domestica, X indica le quantità ponderate dei beni esportati, P il livello medio ponderato dei prezzi delle merci esportate, M è l’indice delle quantità ponderate dei beni importati, P* il livello medio ponderato dei prezzi delle merci importate ai prezzi stranieri.
Abbiamo quindi: db/de e/X= dX/X e/de–e/de dM/M–1.
Dove dX/X e/de è l’elasticità delle esportazioni al cambio reale mentre dM/M e/de è l’elasticità delle importazioni al cambio reale.
Perché allora db/de e/X > 1 è necessario che: ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiax+ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiam > 1 in cui ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiax è l’elasticità delle esportazioni e ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiam delle importazioni.
Perché si abbia un miglioramento della bilancia commerciale quando peggiora la ragione di scambio commerciale di un Paese che ha diminuito i prezzi delle proprie merci, il valore delle esportazioni deve aumentare più del valore delle importazioni.
Questo avviene se ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiax+ἑx+ἑm > 1 in cui ἑx è l’elasticità delle esportazioni e ἑm delle importazioni.
Perché si abbiam > 1.
I neoclassici dicono che è una condizione facile da raggiungere.
Ad un deprezzamento delle ragioni di scambio del commercio internazionale o al deprezzamento del tasso di cambio reale fa sempre seguito, nell’immediato, un peggioramento della bilancia commerciale (effetto J) causato dalla bassa elasticità di prezzo che la domanda di importazioni e esportazioni ha nel breve periodo, per la presenza di rigidità contrattuali e le abitudini dei consumatori.
Nel breve periodo si manifesta solo il peggioramento della bilancia commerciale in quanto si manifesta solo l’effetto prezzo, mentre l’effetto quantità tende ad essere nullo: nella realtà consumatori e produttori reagiscono alle variazioni dei prezzi delle importazioni e delle esportazioni in tempi differenti rispetto alle variazioni dei loro prezzi e dalla circostanza che le quantità scambiate rimangono per un certo periodo immutate.
Nel lungo termine l’effetto quantità si manifesta con intensità crescente e riesce a produrre un incremento delle quantità esportate e una diminuzione delle importazioni, così nel lungo periodo la bilancia commerciale migliora, ma non è detto che giunga al pareggio.
Alcune importazioni potrebbero mostrarsi rigide, come quelle di greggio o di energia (l’Italia importa energia elettrica di origine nucleare dalla Francia).
Perché non ha funzionato il sistema aureo: l’uso che si fece dell’oro come riserva di valore; la sostituzione dell’oro con la sterlina quale valuta di riserva.
La teoria quantitativa PQ=MV considera stabile nel breve termine il reddito e l’occupazione, ma le considera in crescita nel M/ L periodo per la crescita della popolazione e del progresso tecnico.
Al crescere del reddito (Q), perché si mantenga stabile il livello dei prezzi possono accadere due alternative: varia la circolazione monetaria V; aumenta M.
Nel sistema aureo, perché aumenti la quantità di moneta in circolazione è necessario che aumentino le riserve di oro, in modo che le BC possano espandere la quantità di moneta circolante in misura adeguata.
Ma la quantità di oro utilizzato come riserva nelle BC può aumentare a condizione di estrarne di più dalle miniere e tesaurizzarlo invece di utilizzarlo per produrre oggetti di ornamento.
Il problema che si è presentato agli operatori economici durante il sistema aureo è se la quantità di oro cresce in misura tale, e si distribuisce tra i paesi in modo tale, da consentire, in ciascuno di essi, una crescita della circolazione monetaria che consenta di sostenere l’aumento della quantità prodotta.
Perché questo possa accadere è necessario che i Paesi produttori di oro registrino un avanzo della bilancia commerciale, grazie all’esportazione di oro a cui non corrispondesse l’acquisto di beni.
Nel Gold Standard l’oro è domandato sia come fattore produttivo, sia come moneta internazionale.
Per una nazione che estrae e produce oro, l’esportazione di oro ha sulla sua economia gli stessi effetti che ha l’esportazione di qualsiasi altro bene.
Le nazioni cui affluisce l’oro che viene usato a scopo monetario per incrementare le riserve, sono in condizione di espandere la circolazione monetaria.
Per il sostegno monetario alla crescita dell’economia mondiale nel gold standard è necessario: che l’esportazione di oro dalle Nazioni produttrici non fosse compensata dall’importazione di altri prodotti; che nel sistema economico internazionale le esportazioni superassero le importazioni e che l’eccesso delle esportazioni risultasse dall’acquisto di oro dalle autorità monetarie delle varie nazioni a fini monetari.
Presto l’oro venne sostituito dalla sterlina, quale valuta di riserva, tanto che verso la fine dell’ottocento le riserve di tutte le BC aderenti al sistema sono rappresentate dall’oro e dalla divisa dell’Impero britannico.
Dato che la Banca d’Inghilterra assicura la convertibilità dell’oro, era meglio per una BC aderente al sistema detenere una parte delle proprie riserve in titoli in valuta dell’Impero inglese, che fruttavano interesse, piuttosto che detenere tutte le riserve in oro, che non ne fruttava.
La sterlina aveva così assunto il ruolo la moneta di riserva.
Una valuta di riserva, chiamata valuta dell’ancoraggio, è una valuta che, come la sterlina nel sistema aureo, è detenuta da molte BC e internazionali come componente predominante delle loro riserve di divise estere ed è la valuta di valutazione internazionale per le transazioni internazionali sul mercato globale.
Perché fosse assicurata la stabilità al sistema di pagamenti internazionali, non furono più i soli paesi produttori di oro ad avere un saldo attivo della bilancia dei pagamenti corrispondente alla quantità di oro esportata, ma accanto ad essi era necessario che anche l’Impero britannico avesse un attivo della bilancia dei pagamenti.
Fu l’Impero britannico ad assicurare la liquidità necessaria al sistema monetario internazionale sistema aureo dal 1880 in poi: gli investimenti diretti all’estero delle società dell’impero inglese crebbero e profitti e interessi affluirono in Inghilterra.
La nazione che emette la moneta di riserva può comprare i prodotti internazionali con il signoraggio (battendo moneta); i titoli emessi nella divisa pagano un tasso di interesse inferiore rispetto ai titoli emessi in altre divise, poiché si registra sempre una domanda e un mercato più grande per quella valuta.
Quando la valuta di un Paese è valuta di riserva, gli altri paesi restano a lungo indebitati verso il Paese la cui moneta è moneta di riserva.
Il sistema aureo crollò per due ragioni: l’abbandono della convertibilità delle monete dai Paesi aderenti per evitare le deflazioni determinate dalla diminuzione delle riserve auree; l’emergere degli Stati Uniti quale potenza economica mondiale, in sostituzione dell’Impero britannico.
Analizziamo le ragioni per cui via via la maggior parte dei paesi abbandonarono la convertibilità dell’oro fino all’abbandono della convertibilità anche da parte della Gran Bretagna nel 1931.
I paesi con un deficit della bilancia dei pagamenti cominciarono a non rispettare le regole del gold standard.
Tra le regole che le autorità monetarie delle Nazioni aderenti al Gold Standard si impegnavano a rispettare c’era quella di accettare una deflazione sia nel caso fuoriuscisse oro dal Paese, sia se l’oro non affluiva in maniera sufficiente per sostenere una crescita reale dal punto di vista monetario.
Un Paese che aveva la bilancia dei pagamenti in deficit, registrava una diminuzione delle sue riserve auree.
Per rimanere nel sistema monetario internazionale, quel Paese si era impegnato per poter convertire la propria moneta in oro secondo la parità definita, a diminuire la quantità di moneta in circolazione in proporzione alla diminuzione di oro registrata presso le proprie riserve.
La diminuzione della moneta in circolazione non faceva diminuire i prezzi, come previsto dalla teoria quantitativa, ma il livello dei redditi e dell’occupazione.
Si determinava una deflazione interna per assicurare l’equilibrio della bilancia dei pagamenti.
La deflazione interna determinava disoccupazione.
I Paesi deficitari si posero come prioritario l’obiettivo della piena occupazione e impiegarono la politica monetaria per espandere la domanda.
Si delineò un conflitto tra il l’obiettivo della piena occupazione e della bilancia dei pagamenti.
Alcuni Paesi, a fronte di una bilancia dei pagamenti in deficit e della diminuzione delle riserve auree, evitarono di diminuire la quantità di moneta, violando le regole del sistema aureo a cui aderivano.
A fronte della diminuzione delle monete in circolazione portate alla BC per richiedere l’oro, la BC reagiva acquistando con quelle monete titoli del debito.
Questo avveniva perché le autorità monetarie intendevano evitare di creare disoccupazione, ma così queste Nazioni non furono più in grado di convertire la moneta in oro (per non rimanere senza riserve auree presso la BC) e dovettero uscire dal sistema.
Diverse volte alcuni Stati avevano sospeso la convertibilità della propria moneta in oro perché non avevano ridotto la circolazione monetaria quando perdevano oro, per evitare di avere una diminuzione del livello di occupazione.
Le condizioni dell’economia mondiale erano mutate rispetto agli anni in cui era emerso il ruolo predominante dell’Impero britannico.
Gli USA, pur vedendo accrescersi le proprie riserve valutarie non attuò la politica monetaria espansiva prevista dalle regole internazionali e provvide a sterilizzare l’oro: man mano che aumentavano le sue riserve di oro, non aumentò la quantità di moneta in circolazione con operazioni sul mercato aperto di vendita di titoli pubblici.
Quando provvide ad aumentare la quantità di moneta in circolazione, questa venne assorbita dal mercato interno.
Il rapporto con l’Eu fu di carattere creditizio.
Con la caduta di Wall Street, le banche americane ritirarono i loro crediti presso le banche eu e questo gettò le potenze eu in aggressive politiche mercantiliste che le portarono ai regimi totalitari e guerra.
Gli USA e il dollaro non si sostituirono all’Impero britannico come valuta di riserva e non furono in grado di contribuire come mercato di sbocco alla produzione dei beni che avevano stimolato con i loro crediti: il crollo fu inevitabile.
Mentre i Paesi deficitari avevano abbandonato il sistema prima della guerra mondiale, l’Impero britannico abbonderà il sistema nel 1931 e gli USA nel 1933.