Dalla fine della guerra al piano Marshall
Nuovo ordine mondiale con la vittoria alleata (Russia, Inghilterra, Usa) sulle potenze del patto tripartito (Giappone, Germania, Italia).
Gli avvenimenti che stabilirono i futuri assetti mondiali furono tre: la conferenza di Bretton Woods 1944 per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie; vi parteciparono 730 delegati di 44 nazioni alleate.
La conferenza di Yalta tenutasi tra Roosevelt (presidente USA), Churchill (primo ministro inglese) e Stalin (dittatore dell’URSS) in Crimea nel 1945, nel quale si presero decisioni sul proseguimento del conflitto, sullo smembramento della Germania, sulle indennità di guerra da richiederle, sull’assetto futuro della Polonia, e sull’istituzione dell’ONU.
L’economia pianificata dell’URSS uscirà battuta dall’economia di libero mercato (USA).
Il piano Marshall, 1947, decisione degli Stati Uniti di attuare un piano di aiuti economico-finanziari per l’Eu.
La conferenza fu dominata da Keynes, capo della delegazione dell’Impero britannico e White, capo delegazione statunitense.
Di nuovo, come era accaduto a Versailles, Keynes fu battuto.
Keynes e l’impero britannico proposero la creazione di due istituzioni: l’International Clearing Union (compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti dei Paesi aderenti al sistema di commercio internazionale di libero mercato e di scambio internazionale, come una BC mondiale del commercio internazionale, con la capacità di erogare crediti e porre a riserve eccessi di surplus commerciale); il bancor (nuova moneta sovranazionale da utilizzare come unità di conto negli scambi internazionali, che non sarebbe stata una vera e propria moneta internazionale utilizzata per gli scambi commerciali o l’acquisto dei titoli, detenuta dagli individui e dagli operatori commerciali, ma un’unità di conto internazionale, per monitorare i flussi internazionali di ricchezza e i disequilibri delle bilance dei pagamenti dei Paesi).
Secondo Keynes l’oro poteva essere convertito dalle BC dei Paesi aderenti in bancors, ma non sarebbe mai potuto accadere l’inverso.
Se l’oro rimane dentro alle casse dell’International Clearing Union, questa diventa una Banca mondiale.
L’International Clearing Union non avrebbe chiesto interessi ai Paesi in deficit.
Il piano prevedeva l’international clearing come un organismo sovranazionale (ICU) con potere di compensazione e controllo sui tassi di cambio, sul commercio internazionale e sui movimenti di capitale internazionale; come la BC di una Nazione, con una governance condivisa tra i Paesi membri, e non avrebbe richiesto tassi di interesse.
L’ICU avrebbe corretto gli squilibri del commercio internazionali e della bilancia dei pagamenti, sia nel caso un Paese si fosse trovato in surplus che in deficit, per mantenere il livello della domanda aggregata internazionale vicino al suo potenziale e impedire crisi di liquidità internazionale.
Le relazioni internazionali e gli scambi di merce e di valuta sarebbero stati regolati da un sistema multilaterale di cambi fissi, ma modificabili dall’ICU in caso di squilibri delle bilance dei pagamenti.
I cambi sarebbero stati ancorati ad una valuta utilizzabile solo per gli scambi internazionali, il bancor, la cui quotazione sarebbe stata ancorata ad una quantità fissa ma non inalterabile di oro.
Tutte le nazioni aderenti avrebbero detenuto presso l’ICU un credito o un debito in bancor.
Compiti principali dell’ICU: trovare un’allocazione internazionale efficiente del credito tra nazioni debitrici e creditrici; prevenire l’accumulazione di crediti o debiti eccessivi per riportare il commercio internazionale in equilibrio.
L’ICU avrebbe determinato il volume medio del commercio internazionale di ciascuna nazione aderente dei 5 anni precedenti all’adesione al sistema.
In caso di deficit > di 1/4 alla quota prestabilita, la nazione avrebbe svalutato la propria valuta, previo ok dell’ICU.
In caso di deficit > alla metà della quota, il Board avrebbe potuto richiedere la svalutazione della divisa nazionale, controllo dei capitali in uscita, saldo del debito con trasferimento di oro o altre riserve valutarie.
In caso di > di 3/4 della quota, il Board avrebbe dichiarato il paese in default.
In caso di surplus le misure considerate erano: espansione del credito interno e politiche espansive della domanda nazionale per far accrescere importazione di prodotti stranieri; rivalutazione nei confronti del bancor della propria divisa; riduzione di tariffe o dazi che potessero scoraggiare le importazioni; prestiti internazionali per favorire il riequilibrio della bilancia dei pagamenti con specifiche Nazioni; prelievo di parte del surplus di una Nazione per metterlo in un fondo di riserva.
Keynes si rese conto che il sistema poteva frenare l’espansione delle economie più forti.
Per questo pensò che grazie alla gestione multilaterale di debiti e crediti dell’ICU, un paese sarebbe stato in grado di accumulare un surplus di bancor, senza vedere la propria domanda di export diminuire, con meccanismi di riequilibrio automatico.
Cercò di spiegare alle nazioni più forti che, in assenza dell’ICU, i paesi debitori avrebbero esaurito i mezzi di pagamento delle loro importazioni.
Questo avrebbe ridotto la domanda di beni dalle nazioni creditrici e si sarebbe ripercosso sulle economie in surplus, destando uno squilibrio nel commercio internazionale.
Questo avrebbe consentito di aggiustare i deficit delle bilance di pagamenti di alcuni Paesi con crediti a tasso zero, senza politiche depressive e con più sostenibilità politica.
Ma le idee di Keynes non ressero e si affermò il piano presentato da White e dalla USA, vigente fino al 1971.
White voleva far diventare il suo Paese quello che ha il privilegio di detenere la moneta di riserva internazionale, per i vantaggi di signoraggio.
Il suo piano venne accolto dopo 20 giorni di discussioni.
A Bretton Woods si stabilì di tornare a un sistema ancorato all’oro, ma accanto alla sterlina comparve il dollaro come moneta di riserva.
Ciascuna Nazione che aderì a Bretton dichiarò la parità della propria moneta rispetto al dollaro, il quale era convertibile in oro, e si impegnò a mantenere il proprio tasso di cambio fisso.
Il cambio poteva variare non oltre l’1% al di sopra e al di sotto della parità dichiarata con il dollaro (parità determinata da ciascun Paese per determinare il pareggio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti).
Il sistema non venne adottato dai Paesi dell’area sovietica ad economia statalista pianificata.
Secondo Bretton il dollaro era convertibile in oro e viceversa, ma la convertibilità del dollaro in oro era consentita solo alle BC: la parità aurea del dollaro con l’oro era il reciproco del prezzo dell’oro, fissato dal Governo degli USA a 35 dollari per oncia nel 1934.
Il dollaro divenne la valuta utilizzata per gli scambi internazionali e non l’oro, la cui convertibilità era limitata alle sole BC, che preferirono avere riserve fruttifere in dollari, che in oro.
Nel sistema del dollaro ciascun operatore poteva chiedere dollari in cambio della divisa nazionale, ma nessuno poteva chiedere oro alle BC, e solo le BC potevano chiedere agli USA di convertire in oro le riserve valutarie di dollari detenute.
Il governo di una Nazione aderente al sistema, se avesse dimostrato che nella sua economia si fossero determinate modifiche strutturali, avrebbe potuto mutare la parità della propria moneta nei confronti del dollaro, per riportare in equilibrio la propria valuta.
Bretton era diverso dal sistema dei cambi flessibili perché in questo sistema le monete delle nazioni sono libere di svalutarsi o rivalutarsi ogni giorno sul mercato dei cambi, senza intervento della BC emittente e sulla sola base della domanda e dell’offerta di valuta; era diverso dal gold standard della sterlina perché il divieto stabilito agli operatori di poter convertire i dollari in oro, non rendevano possibili i meccanismi tipici del sistema aureo.
Bretton, col sistema del dollaro aveva cambi fissi delle valute delle nazioni partecipanti al commercio internazionale ottenute con operazioni di vendita e acquisto di valuta (nazionale) dalle BC degli aderenti.
Bretton stabiliva che se un Paese avesse voluto variare la propria parità dichiarata con il dollaro avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione al FMI.
Il riequilibrio delle bilance dei pagamenti avveniva così: se un Paese aveva un deficit nella bilancia dei pagamenti, con squilibrio commerciale nei confronti degli USA, che determina sui mercati valutari un eccesso di domanda di dollari dagli operatori economici del Paese in deficit per pagare le importazioni, che è un eccesso di offerta della valuta del Paese in deficit: questa situazione della bilancia commerciale del Paese in deficit determina una pressione per la svalutazione della divisa di quel Paese, che inizia a verificarsi sui mercati valutari internazionali.
Secondo Bretton, quando la svalutazione della divisa del Paese in deficit raggiunge l’1% sotto la parità, la BC del Paese interessato dal deficit deve intervenire e acquistare sul mercato la propria divisa, quindi deve cedere i dollari detenuti come riserve valutarie.
Dato che le sue riserve valutarie, con questi acquisti, diminuiscono, la situazione non può persistere senza che le riserve valutarie di quella BC non si esauriscano.
Bretton aveva automatismi analoghi al sistema aureo ma, a differenza, le autorità monetarie avrebbero potuto sterilizzare quei meccanismi e adoperare la svalutazione del cambio.
Quando import>export, anche nel sistema del dollaro, la quantità di moneta in circolazione nel Paese con il deficit diminuirà, perché ci sarà un eccesso di offerta di quella divisa, a cui la BC reagirà con una diminuzione delle riserve valutarie per riportare in equilibrio il mercato valutario internazionale.
Secondo la teoria quantitativa della moneta, il livello generale dei prezzi dipende dalla quantità di moneta in circolazione e, una diminuzione della quantità di moneta in circolazione determina una diminuzione del livello generale dei prezzi e viceversa.
I prezzi delle merci di quel Paese diminuiranno e le bilance dei pagamenti dei due Paesi tenderanno a tornare in equilibrio (condizione delle elasticità critiche).
Diverso è l’aggiustamento automatico secondo la teoria keynesiana.
L’aumento della quantità di moneta nei Paesi in surplus e la diminuzione della quantità di moneta nei Paesi in deficit non si scaricherebbe sui prezzi delle merci, ma determinerebbe una diminuzione del tasso d’interesse nel Paese in surplus (che aumenta gli investimenti, il reddito nazionale e l’occupazione) e un aumento del tasso d’interesse nei Paesi in deficit.
La differenza tra il Gold exchange standard e il Gold standard è la maggiore discrezionalità della BC del singolo Paese e la possibilità di sterilizzare la diminuzione o l’aumento della moneta in circolazione; di chiedere la svalutazione o rivalutazione del cambio.
Entrambi questi istituti non esistevano nel sistema della sterlina, ma nel dollaro.
Bretton ha la sua lacuna proprio nella scelta, imposta dagli USA, del dollaro come moneta di riserva.
Keynes fu consapevole che il sistema di cambi fissi stabilito dagli accordi poteva essere mantenuto nel tempo solo a patto di costringere gli Stati Uniti ad avere una bilancia commerciale e finanziaria positiva.
Il Fondo monetario internazionale fu voluto, in alternativa all’ICU, da White, che impose che agisse più come una banca.
Si stabilì che gli Stati finanziati dal fondo dovessero restituire il loro debito nel tempo, non secondo lo schema degli aiuti a fondo perduto o dei prestiti a lungo termine e tassi bassi, ma secondo la dinamica finanziaria dei prestiti.
Al momento degli accordi di Bretton, gli USA avevano crediti con il Mondo e molte riserve aure mondiali e volevano far valere questa loro posizione.
Scopi del fondo: promuovere la cooperazione monetaria internazionale; facilitare la crescita del commercio internazionale; promuovere la stabilità dei rapporti di cambio, evitando le svalutazioni competitive che si erano registrate tra le due guerre; sostenere finanziariamente gli Stati membri, con garanzie e il pagamento di un tasso di interesse, per superare difficoltà momentanee o strutturali della bilancia dei pagamenti.
Gli accordi di Bretton ammettono che un Paese possa variare la parità della propria moneta rispetto al dollaro per sanare gli squilibri strutturali della propria bilancia dei pagamenti, ma non in modo semiautomatico come proposto da Keynes con il suo ICU.
Nel caso di squilibri strutturali interviene il FMI, con la sua dotazione finanziaria costituita dalle quote dei Paesi.
Ciascun Paese, per aderire al Fondo, versa una quota in oro e moneta nazionale, commisurata al volume del proprio commercio estero e del proprio reddito nazionale.
E’ sulla base di questa quota che un Paese può ottenere prestiti dal Fondo per sanare gli squilibri della bilancia dei pagamenti.
I prestiti del Fondo vengono concessi a condizione che il Paese beneficiario si impegni ad adottare misure di politica economica interna che riportino la bilancia dei pagamenti in equilibrio in un periodo di tempo ragionevole; e con il pagamento di interessi.
Sono misure restrittive di politica fiscale e monetaria che riducano: il disavanzo pubblico, la crescita della quantità di moneta, la crescita dei salari.
Nella struttura del fondo c’è poi un predominio statunitense ed eu.
Il FMI ha un capitale messo a disposizione dai membri e il voto nei suoi organi è ponderato a seconda della quota.
Un pacchetto di misure che erano state concordate nel 2008 per rafforzare la rappresentanza delle economie emergenti del Fondo è entrato in vigore nel 2011.
La riforma prevede aumenti di quote per 54 paesi, con i maggiori guadagni andando verso i paesi dinamici mercati emergenti (Corea , Cina, Turchia , Brasile, Messico).
La riforma vuole migliorare l’influenza dei paesi a basso reddito nelle decisioni del FMI.
L’accordo è stato ratificato in legge in 117 paesi membri, rappresentanti l’85% del potere di voto totale del FMI.
La maggioranza prevista per la ratifica dell’accordo era l’85% e l’approvazione da almeno 113 paesi membri.
La riforma ha comportato uno spostamento del 9% delle quote a favore delle Nazioni emergenti e dei Paesi in via di sviluppo.
Oggi le prime dieci economie mondiali sono i primi 10 soci del fondo (Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, e i quattro BRICS Cina, Russia, Brasile, India).
Diversamente dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove ogni paese ha un voto, il processo decisionale del FMI è stato progettato per riflettere la posizione di ciascuna Nazione nell’economia globale.
Il problema sono i meccanismi di voto, che permettono che gli Stati Uniti e il gruppo dei principali Paesi dell’Ue si trovino ad avere un potere di veto di fatto.
Per le decisioni più importanti servono maggioranze alte: 66%, 75% e 85% dei voti.
L’85% permette agli USA presi singolarmente un diritto di veto.
Il 75% permette agli USA e ai principali paesi eu di esercitare il diritto di veto congiuntamente.
Gli organi principali del FMI sono: il “Consiglio dei Governatori” (Board of Governors, a composizione plenaria, si riunisce una volta l’anno); il “Consiglio Esecutivo” (Executive Board, siede permanentemente, con 5 membri permanenti dei 5 Stati che detengono la quota maggiore Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito, mentre gli altri sono eletti dal Consiglio dei Governatori sulla base di un sistema di raggruppamenti di nazioni) con i 24 Direttori Esecutivi (Executive Directors); il Direttore Operativo” (Managing Director, eletto dal Consiglio Esecutivo e lo presiede).
La Banca Mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo, con sede a Washington, ha capitale versato dagli Stati membri del FMI ed ha lo scopo di realizzare investimenti nei Paesi in via di sviluppo.
Importante strumento della politica valutaria è la BRI (Banca dei Regolamenti internazionali), con sede a Basilea, associazione tra le BC di 32 Paesi, interviene sui mercati valutari (acquisto e vendita di valuta) per conto delle BC aderenti.
Si svolgono riunioni periodiche tra i Governatori di queste BC, che si scambiano informazioni e condividono strategie.
A Yalta si posero le basi per l’ordine mondiale che si sarebbe affermato fino al 1991, fine dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Le decisioni più importanti furono: istituire una nuova organizzazione mondiale delle Nazioni (ONU); istituzione del Consiglio di Sicurezza, organismo con la presenza permanente delle nazioni che hanno vinto la 2° guerra mondiale e che hanno diritto di veto per le decisioni più importanti; smembramento, disarmo e smilitarizzazione della Germania con USA, URSS, Regno Unito e Francia che gestissero ciascuno una zona di occupazione, si risolse nella divisione della Germania in est ed ovest che finì nel 1989, con il crollo del muro di Berlino; fissate delle riparazioni dovute dalla Germania agli Alleati in 22 miliardi di dollari; impegno a garantire che tutti i popoli potessero scegliere i propri governanti, impegno disatteso in cui si assistette invece alla creazione di due aree politico economiche: una di libero mercato e libero scambio filo atlantica sotto gli USA; una di economia pianificata e centralizzata filosovietica, sotto l’URSS; allo smembramento politico economico della Germania, considerata troppo pericolosa se riunita.
I britannici e gli statunitensi furono convinti che era giusto adottare i due strumenti di politica economica suggeriti da Keynes che non invitarono neppure la Francia, cosa che De Gaulle fece grande fatica ad accettare.
La divisione internazionale del lavoro che si determinò dopo Yalta era favorevole all’Italia perché a est del muro di Berlino con l’economia pianificata non erano possibili investimenti produttivi dai capitalisti occidentali; anche la Cina comunista non aveva aderito all’economia di mercato, il socialismo di mercato, e adottava una politica economica pianificata; il salario reale italiano era il più basso dell’occidente; i politici italiani costruiranno un efficiente sistema di incentivi all’investimento diretto estero in Italia, con contributi a fondo perduto del 50% per i nuovi investimenti in capitale fisico in Italia.
L’Italia era il Paese dell’Occidente, insieme al Giappone, in cui era più economico impiantare un nuovo stabilimento industriale e questo si tradusse in grande occupazione e benessere per gli italiani.
Finita la seconda guerra mondiale, nel 1947, l’Eu è distrutta: le principali economie mondiali hanno usato il loro potenziale produttivo per distruggersi reciprocamente.
Economicamente le principali economie mondiali escono con il potenziale produttivo azzerato, ad eccezione degli USA, che hanno fatto crescere la propria capacità produttiva e che non hanno subito bombardamenti di impianti industriali e civili.
In Eu c’era povertà, distruzione dei mezzi di produzione e fame: non bastano gli approvvigionamenti di grano.
Gli Stati Uniti, usciti vittoriosi dalla guerra, hanno il problema inverso: eccesso di capacità produttiva agricola e industriale, non hanno mercati di sbocco per le loro merci, la domanda internazionale è crollata per il default dei paesi importatori (eu).
Nel 1947, il Segretario di Stato americano Marshall annunciava la realizzazione di un piano con obiettivo la ripresa economica dei paesi eu, indeboliti dalla 2° Guerra, ma in realtà ha due obiettivi economici non dichiarati: trovare uno sbocco alla crisi di sovrapproduzione industriale ed agricola statunitense; diffondere la politica economica basato sulla libera iniziativa privata nella zona di influenza geopolitica statunitense.
Si trattò per l’80% della concessione di aiuti a fondo perduto; per il 20% di concessione di prestiti con tassi di interesse bassi e a lungo termine (oltre i 20 anni).
Beneficiari furono 17 paesi occidentali.
L’iniziativa fu gestita da un ente di distribuzione e un ente organizzativo: l’Economic Cooperation Administration (ECA), per la collocazione del programma di aiuti European Recovery Program (ERP); Organization for European Economic Cooperation, per favorire una prima integrazione economica nel Continente (OECE ).
Il programma di aiuti previde uno stanziamento di 17 miliardi di dollari per quattro anni.
Alla fine la natura reale degli aiuti fu per il 90% di risorse alimentari concessi a fondo perduto.
La Francia decise di convocare a Parigi nel 1947 una Conferenza per predisporre un piano di aiuti.
Tutto il blocco dell’est non partecipò.
Il governo cecoslovacco, che aveva dato in un primo momento la propria adesione, dovette ritirarla: era cominciata la guerra fredda e la divisione economica tra due aree di influenza e due sistemi economici e ideologici contrapposti.
Erano di 29 miliardi di dollari le richieste in totale.
La Francia chiese che la Germania venisse esclusa dagli aiuti.
La Gran Bretagna chiese di ottenere uno “status speciale”, essendo stata determinante per la vittoria alleata.
Gli Stati Uniti rifiutarono l’impostazione eu dei piani particolareggiati, ma volevano un piano complessivo, dove fosse tutelata la libertà di commercio e promossa l’integrazione eu.
Si raggiunse un accordo su uno stanziamento iniziale di 5 miliardi di dollari cui sarebbe seguita la donazione a fondo perduto di altri 12,4 per un totale di 17,4 per 4 anni.
Si diffusero: libertà di impresa; capitalismo; spirito imprenditoriale; esperienza tecnica; tutela della concorrenza, cooperazione economica.
Il piano terminò nel 1951.
I principali risultati sono stati per l’Eu il raggiungimento dai Paesi che ricevettero gli aiuti del livello di produzione prebellico; per gli Stati Uniti il raddoppio della produzione industriale, il calo della disoccupazione da 10 a 2 milioni, il possesso del 7% delle riserve auree mondiali.
Le tesi imperialista di Lafeber, secondo cui il piano servì a rendere le economie occidentali funzionali agli USA e quella minimalista, secondo cui la ripresa economica dell’occidente ci sarebbe comunque stata e il piano non ebbe grande influenza.
Quando un Paese è in default produttivo, non è più capace di assicurare la produzione, l’inserimento nel commercio internazionale e il sostentamento alimentare della propria popolazione.
Il default produttivo è diverso da quello finanziario (qui non si riescono a rimborsare i debiti contratti e il problema riguarda i finanziatori, non il Paese).
Se è un Paese trasformatore, può esserci difficoltà nel reperire materie prime ed energetiche; ma se il Paese è grande questi problemi sono superabili in caso di default finanziario.
Con una ristrutturazione del debito, cioè la riduzione, ovvero la restituzione di una % dei debiti originari, anche un grave default finanziario è superabile.
Quando invece un Paese ha un fallimento produttivo è incapace di produrre perché non ha più stabilimenti produttivi o non è in grado di farli funzionare.
I suoi consumi diminuiscono al livello di sussistenza o al di sotto e gli investimenti si azzerano per il peggioramento delle aspettative di guadagno future e per l’aumento dei tassi e la diminuzione della moneta in circolazione o la sua svalutazione.
Le persone improduttive non sono in grado di produrre un reddito per soddisfare le necessità primarie.
Una carenza di reddito è un livello insufficiente di consumi, importazioni e investimenti.
Qui solo l’eccesso di risparmio di altri Paesi donato o prestato a tassi molto bassi permette di riavviare il processo economico e di migliorare le aspettative sui profitti attesi futuri.
Le derrate donate sono donazione di consumi, donazioni finanziarie per investimenti sono donazioni di risparmio che si trasformano in nuovi investimenti.
Tutti i consumi e gli investimenti del Paese che riceve gli aiuti sono esportazioni del Paese donante, che non avrebbe potuto compensare l’eccesso di produzione.
Se i consumi e gli investimenti determinano la ripresa dell’economia del Paese destinatario degli aiuti, gli aiuti moltiplicano il reddito del Paese donante con il moltiplicatore delle esportazioni.
Immaginiamo che l’aiuto sia finanziato dal Paese donante (A) con un pareggio di bilancio, contraendo cioè le spese pubbliche o di investimento per il proprio Paese, o donando propria ricchezza.
Cosa avviene in A quando aumentano le sue esportazioni: la produzione nazionale aumenta; l’aumento del reddito comporta l’aumento delle importazioni.
In B, grazie all’aiuto internazionale, vengono riattivati consumi e investimenti.
Dato che gli aiuti non sono pagati, non possono essere considerate importazioni, per le quali è necessario un esborso di valuta, ma consumi (grano importato dagli USA) e investimenti (prestiti in parte a fondo perduto e in parte a lungo termine a tasso di interesse basso).
Anche in B, la ripresa del reddito comporta l’incremento delle importazioni, perché queste sono sempre una % del reddito.
L’aiuto internazionale attiva un processo moltiplicativo contemporaneo sia nel Paese donante (per il quale gli aiuti sono esportazioni, anche se pagate dal Paese donante), sia per il Paese ricevente, che diventa capace di importare ed esportare in cooperazione con il donante.
L’aiuto internazionale consente, con una sola spesa finanziaria, di ottenere due redditi nazionali moltiplicati e questo per la natura dell’aiuto internazionale, che è al tempo stesso: un’esportazione per il paese donante, consumi e investimenti per il Paese ricevente.
Alla fine il Paese ricevente diventa capace di importare i prodotti dal donante, che apre un mercato ai suoi prodotti e viceversa importa i prodotti dal Paese ricevente, aumentando il reddito mondiale complessivo.
Il processo avviene se vengono rispettate determinate condizioni: che nel Paese donante esista un iniziale surplus commerciale internazionale o di riserve monetarie; che nel Paese donante esistano lavoratori disoccupati e non vi sia piena occupazione; che il Paese ricevente abbia lavoratori disoccupati e attui aumento della competitività e produttività.
Il suo assorbimento è maggiore della produzione, ma l’assorbimento è al limite o al di sotto del mantenimento fisico della popolazione e non dipende da corruzione o inefficienza sistemica.
Il riavvio dell’economia deve sempre essere accompagnato da: prestiti a fondo perduto; la parte non a fondo perduto deve essere remunerata a tassi bassi e a lungo termine; stabilità dei prezzi.
Le autorità monetarie italiane dell’epoca riuscirono a tenere bassa l’inflazione: nel 1947 venne istituito il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), presieduto dal ministro del Tesoro a cui venne affidato il potere di variare il coefficiente di riserva; nel 1948 fu ristabilito un limite al signoraggio (finanziamento monetario dello Stato) decidendo che l’indebitamento del Tesoro in conto corrente verso la BC fosse limitato al 15% delle spese previste nel bilancio dello Stato; Venne creato l’Ufficio Italiano dei Cambi per la gestione delle transazioni valutarie, venne stabilito il principio della tutela del risparmio.
Il fatto che l’aiuto economico, con un’unica spesa, determina due processi moltiplicativi (nel paese donante e ricevente), induce che: la scuola liberal borghese contraddice l’assunto che l’economia si fondi sullo scambio dietro corrispettivo e dove non si concepisce il ruolo della gratuità e della solidarietà; i marxisti contraddicono l’assunto della lotta tra Paesi sfruttati e dominanti (inevitabilità della lotta di classe).