Dopo la riforma del 2003, l’art. 2464 c.c. segna l’inesistenza di una relazione necessaria e biunivoca tra conferimenti e capitale sociale: la tutela del capitale non è più ricercata, ponendo un rigido rapporto tra valore del singolo conferimento del socio e valore nominale delle quote che gli sono assegnate, ma “sulla base di una considerazione globale sia dei conferimenti sia del capitale. Seguendo tale strada si affida all’autonomia statutaria il compito di stabilire quali e quanti degli elementi dell’attivo conferiti dai soci in sede di costituzione della società debbano concorrere alla “copertura” della prima voce del PN, che con l’insieme di detti elementi non deve più identificarsi: per l’eventualità di apporti che per loro natura non sono a tal fine utilizzabili; per l’ipotesi che i soci decidano di non capitalizzare una parte dei conferimenti, optando per l’imputazione a riserva, come avviene nei casi dei versamenti in conto capitale e del sovrapprezzo.
Indice della guida
L’innovazione del 2003
La rilevanza dell’innovazione introdotta dal Legislatore del 2003, riconosce la possibilità di prescindere, all’atto della “determinazione” delle partecipazioni sociali, da un criterio di stretta proporzionalità tra il valore della quota assegnata ai singoli soci e il concorso economico dagli stessi prestato ai fini alla formazione del capitale “reale”. Tale determinazione può essere operata anche secondo un criterio che si discosta dal computo del valore (reale) del conferimento e che si annoda, invece, alle scelte convenzionali liberamente compiute in sede di autonomia statutaria. “partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento” solo “se l’atto costitutivo non prevede diversamente”.
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La prospettiva sulla separazione
La prospettiva è quella di una separazione tra i rapporti interni alla società, dove è consentito ai soci di gradare il peso corporativo di ciascuno indipendentemente dal valore reale dei conferimenti effettuati e l’esigenza di assicurare sempre l’integrità e l’effettività del capitale sociale, perseguita con l’imposizione di una regola che richiede la sussistenza di conferimenti di ammontare (se in denaro) o valore (se in natura) nel loro insieme almeno pari a quello del capitale. Dal primo punto di vista, la norma appare coerente con l’ampliamento dei margini di operatività dell’autonomia statutaria e ben si concilia con quello che era uno dei principali obiettivi della riforma. Per il secondo aspetto, essa conferma la “necessaria immanenza” dell’istituto del capitale sociale all’attuale modello organizzativo della srl, a prescindere dalla funzione che ad esso si ritenga di potere o dovere assegnare.
Il principio plutocratico
Uno dei profili più valorizzati della separazione tra conferimenti dei soci e capitale (nominale) è quello che riguarda l’indebolimento del principio plutocratico, il quale ha da sempre rappresentato come uno dei tratti fisionomici delle società di capitali: strutture entro le quali i poteri, gli oneri ed i vantaggi da sempre sono stati parametrati all’oggettivo valore economico del conferimento effettuato. A questo proposito, si può convenire con quanti hanno ravvisato nelle disposizioni in esame il passaggio da un sistema nel quale le prerogative sociali erano “funzione diretta dell’importo della ricchezza investita” ad uno in cui “la commisurazione del potere, dei vantaggi e dei carichi del socio alla grandezza monetaria delle risorse apportate è solo residuale”: in linea con la prospettiva – già delineata dal legislatore delegante – di parziale avvicinamento della srl alle società di persone, nelle quali i soci godono della massima libertà nella determinazione della partecipazione di ciascuno agli utili e alle perdite della gestione sociale. Ciò non deve indurre a ritenere che dalle norme degli artt. 2464 e 2468, discenda l’ulteriore svalutazione del ruolo organizzativo interno del capitale sociale nominale, inteso come parametro di riferimento per la misurazione dei diritti e dei doveri dei soci.
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La nuova srl post riforma
Per questo profilo, la distanza tra la nuova srl e i modelli di società a struttura personalistica è rimasta, anche dopo la riforma del 2003, immutata: dovendosi escludere che, ad onta delle formule descrittive talvolta utilizzate, la srl rappresenti oggi una “società di persone a responsabilità limitata”. Proprio le regole delle quali si discorre attestano la riconducibilità del tipo al genus delle società di capitali come può essere rilevato: dal fatto che nella srl “è socio chi ha quote del capitale sociale”, benché poi tali quote possano essere determinate prescindendo dall’entità economica dei conferimenti realizzati. Per tale società, la legge continua ad individuare nella partecipazione al capitale nominale il presupposto necessario per il riconoscimento della qualità di socio, disinteressandosi dall’entità del concorso prestato dai singoli alla formazione effettiva del capitale reale: laddove nella disciplina delle società di persone, la distinzione tra determinazione statutaria del capitale nominale e partecipazione alla sua formazione reale, non solo non è prevista dal diritto positivo, ma risulta contraddittoria rispetto alla circostanza che il primo non è mai, per tali società, “oggetto di autonome vicende” rappresentando piuttosto “l’esito della sua formazione effettiva, attraverso i conferimenti”; dalla circostanza che il capitale nominale consente di delimitare la rilevanza che ciascun socio assume nell’organizzazione sociale. Se è vero che dopo la riforma la commisurazione dei diritti partecipativi non è più proporzionale alla grandezza monetaria delle risorse apportate, altrettanto sicuro è che ancora oggi tali diritti spettano se e nella misura in cui si detengano quote del capitale nominale.
Determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali
Determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali: i conferimenti “atipici”. La determinazione non proporzionale delle quote di partecipazione può poggiare su esigenze di carattere endosocietario, legate all’acquisizione al patrimonio sociale di conferimenti “atipici”, i quali non sono imputabili né al capitale, né al patrimonio di bilancio: o perché “non suscettibili di valutazione sulla base di criteri oggettivi” o perché “non incrementativi del patrimonio sociale”. La legge invitava il legislatore delegato “a dettare una disciplina dei conferimenti tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per lo svolgimento dell’impresa sociale”, permettendo “ai soci di regolare l’incidenza delle partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”. Vengono in considerazione tutti quei valori immateriali che non risultano valutabili in modo oggettivo (know how, il riconoscimento di diritti di esclusiva o ad alcune tipologie di brevetti); o quelle utilità che, sebbene non iscrivibili all’attivo di bilancio, servono comunque ad agevolare il perseguimento dell’oggetto sociale (prestazione di garanzie, fornitura di liste clienti).
Rispetto alle tipologie di beni e utilità così indicate è indubbio che la scelta sistematica superi l’impostazione che in passato ne negava la conferibilità: consentendo di remunerare, su base “negoziale” e con l’assegnazione di quote di capitale, apporti aventi ad oggetto entità inutilizzabili ai fini della copertura reale del capitale. Detta conclusione vale nel caso: in cui la non imputabilità dipenda da rischi di integrità della prestazione oggetto del conferimento (dazione di beni di valore incerto o negativo); nel caso in cui i problemi riguardino l’effettività dell’apporto (nelle ipotesi in cui lo stesso si sostanzi in utilità economiche insuscettibili di essere prestate uno actu). L’art. 2500-quater c.c. nel disciplinare l’“assegnazione di azioni o quote” in caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali, proprio al meccanismo in esame fa riferimento ai fini della determinazione della partecipazione da riconoscere ai soci d’opera. Occorre chiarire quali conseguenze possano derivare dall’eventuale concreta ineffettività del conferimento atipico.
Riflessioni sull’art. 2464 c.c.
Talune riflessioni svolte in dottrina sull’art. 2464 c.c. meritano di essere valorizzate. Tra queste occorre annoverare: la sua “singolarità” (il fatto di discendere testualmente dalla II direttiva ed essere norma riferita alla srl, tradizionalmente estranea all’ambito di applicazione del diritto comunitario); la progressione testuale rispetto alla quale la disposizione in commento si colloca: subito dopo la disposizione secondo la quale l’ammontare complessivo dei conferimenti non può essere inferiore al valore del capitale nominale, prima dell’elencazione delle classi di entità conferibili e della loro specifica disciplina. La norma, quanto alla “singolarità” della disposizione, offre uno spunto interpretativo giacché evidenzia l’intenzione del Legislatore di ampliare il novero delle entità conferibili nella srl in ragione del diverso ruolo in essa assunto dai soci e dai rapporti tra soci. Nel far ciò rafforza la convinzione che una norma di portata così ampia assolva la funzione di tratteggiare una disciplina autonoma della conferibilità nella srl In merito all’identità testuale con la disposizione della II direttiva comunitaria occorre rilevare che essa risponde al ruolo di clausola generale di tale norma, riferibile a tutte le società di capitali ed atta ad attrarre all’area della conferibilità anche entità tradizionalmente ritenute non imputabili a capitale e pur tuttavia utili per l’impresa comune; le sole eccezioni a tale regola generale sarebbero quelle previste dalla legge (come i conferimenti di opere e servizi nella Spa) o dall’atto costitutivo.
Tale disposizione segue nella progressione testuale la prescrizione secondo la quale il capitale sociale nominale non può essere inferiore al valore complessivo dei conferimenti (art. 2464, co. 1). O si considera la disposizione in esame meramente declaratoria atteso che essa prevede un criterio generale di conferibilità, salvo poi ritenere conferibili e disciplinare le sole entità menzionate ai commi successivi; o le si assegna la funzione di clausola generale di tal che l’elenco che segue risulti esemplificativo in guisa da poter ritenere conferibili anche entità ad esso non direttamente riconducibili. Nella srl risulterebbero ammissibili quei conferimenti in natura atipici tradizionalmente esclusi dall’imputabilità a capitale, ma rispetto ai quali sembrano oggi accettabili le “ipotesi ricostruttive più liberali”. Stante il disposto del secondo comma dell’art. 2464 si può affermare che l’elencazione che ad esso segue di entità conferibili è esemplificativa e non tassativa, potendo essere conferite anche entità non espressamente menzionate e tradizionalmente non imputabili a capitale purché rispondenti alla funzione di accrescimento patrimoniale e purché oggettivamente valutabili. Questa lettura è più coerente alle intenzioni del Legislatore della riforma, rispondendo sia all’esigenza di differenziare più nettamente la Spa dalla srl, accentuando per quest’ultima quella curvatura personalistica che ha portato all’ammissibilità anche di prestazioni tradizionalmente estranee alla conferibilità, quali le opere e i servizi, sia all’esigenza di ampliare senza porre vincoli troppo stringenti, in punto di oggetto come di procedura, l’ambito delle entità conferibili.
Il sistema esclude la conferibilità di quelle entità che non sono trasferibili. Tali entità pur potendo essere considerate “elementi dell’attivo patrimoniale suscettibili di valutazione economica” non possono essere destinate all’iniziativa economica comune atteso che sono inidonee ad attuare una vicenda traslativa dal patrimonio di un soggetto a quello di un altro. L’intrasmissibilità, risolvendosi nell’impossibilità di destinare una risorsa ad un certo scopo, esclude la risorsa dal novero delle entità conferibili. Tanto la condizione di conferibilità, secondo la quale la risorsa deve consistere in un elemento dell’attivo patrimoniale, quanto quella per cui essa deve essere suscettibile di valutazione economica sono state oggetto di interpretazioni difformi, variandone la lettura in funzione del grado di autonomia che si assegna alle regole in tema di conferimenti rispetto ad altri segmenti del diritto delle società di capitali.
L’interpretazione di “elementi dell’attivo patrimoniale”
In merito all’interpretazione di “elementi dell’attivo patrimoniale” si rintracciano due orientamenti: – alcuni dicono che tale espressione vada limitata alle entità in grado di dotare la società dei mezzi finanziari idonei a realizzare l’oggetto sociale, ritenendosi “non tranquillante” seppur astrattamente ammissibile, l’imputabilità a capitale di prestazioni che consistano in un vantaggio indiretto, in una riduzione del passivo. Secondo tale interpretazione restano escluse dalla conferibilità nella srl prestazioni di non facere o obblighi di non concorrenza. Altri ammettono una nozione più ampia di elemento dell’attivo patrimoniale tale da comprendere sia entità consistenti in prestazioni negative come anche i “conferimenti indiretti”. In realtà, anche rispetto alla conferibilità di tali entità le opinioni sono divise. Tra le prestazioni negative vengono ritenuti: conferibili gli obblighi di non fare e non conferibili i conferimenti indiretti, quali la rinuncia di un socio ad un credito verso la società; conferibili entrambi gli ordini di prestazioni. La caduta del divieto di conferibilità dei servizi renderebbe oggi conferibili anche le prestazioni negative, alle quali potrebbe essere applicata la disciplina prevista per il conferimento di servizi (art. 2464 c.c.).
La questione della conferibilità
Discussa è la questione della conferibilità delle promesse di pagamento o finanziamento o degli impegni del socio a prestare garanzie per obbligazioni della società. Il problema non è solo di incertezza o difficoltà nella valutazione, ma di mancanza dell’oggetto del conferimento rispetto all’esigenza primaria di avviare l’impresa. Controversa è anche la questione dei cespiti gravati da debiti come, per esempio, l’azienda. La conferibilità dell’azienda il cui valore risultante dalla stima sia negativo è ritenuta ammissibile se da tale conferimento la società potrebbe trarre un qualche vantaggio anche indiretto, mentre si dubita dell’ammissibilità di tale conferimento evidenziando il rischio di sbilancio patrimoniale. Discussa, ma risolta in termini favorevoli, è poi la conferibilità di entità che pur potendo comportare un accrescimento patrimoniale in termini positivi, si connotino per non definitiva nel senso che i medesimi non risultino immediatamente fruibili per la società o necessitino della collaborazione del conferente (attribuzione di beni in godimento).
In detti casi, il problema dei conferimenti che implichino un’attribuzione alla società a titolo non definitivo sono ritenuti ammissibili dopo il 2003 (conferimento in godimento, conferimento avente ad oggetto prestazioni di durata) consiste nel rendere il bene disponibile alla società in una “misura” certa, nell’individuare un tempo determinato di durata della prestazione che ne permetta una valutazione obiettiva e proporzionata in termini economici.
La suscettibilità di valutazione economica
Il requisito della suscettibilità di valutazione economica è ancora più “sfuggente” e “problematico” di quello di “elemento dell’attivo patrimoniale”. Anch’esso può essere letto in prospettive differenti connesse al maggiore o minore grado di autonomia che si assegna alle regole in tema di conferimenti rispetto alle regole sulla formazione e funzione del capitale e al bilanciamento che si ritiene di operare tra gli interessi dei soci (ad acquisire elementi utili per lo svolgimento dell’impresa) e gli interessi dei creditori. Il punto di equilibrio tra questi diversi interessi è stato, nel tempo, oggetto di dissidi dottrinali.
- Alcuni sostengono la coincidenza tra valutazione economica ed espropriabilità dei beni conferibili. Secondo tale prospettiva una risorsa intanto è valutabile economicamente in quanto possa essere oggetto di esecuzione forzata; tale prospettiva è sbilanciata sulla funzione di garanzia del capitale, secondo la quale assume rilevanza che i beni ad esso imputati possano soddisfare i creditori sociali. Il superamento della tesi della suscettibilità di valutazione economica come assoggettabilità alle regole in tema di esecuzione forzata sembra oggi confermato nella srl alla luce dell’ammissibilità del conferimento di opere e servizi. Oggi la conferibilità di opere e servizi nella srl legittima il superamento argomentativo di questa tesi. In termini di ricadute applicative questa lettura non ammetteva la conferibilità di entità quali i diritti di proprietà intellettuale, il know-how, l’avviamento in ragione delle difficoltà di un’eventuale procedura esecutiva;
- Altri hanno proposto di leggere la suscettibilità della valutazione economica come realizzabilità delle risorse da conferire o attitudine allo scambio delle medesime. Tale lettura è confortata dall’analisi dei lavori preparatori in sede di predisposizione della II Direttiva. Ritenere che la suscettibilità di valutazione economica coincida con la realizzabilità permette di ampliare il novero delle entità conferibili rispetto alla prospettiva più conservativa dell’espropriabilità, considerando conferibili anche i diritti di proprietà intellettuale, il know-how, l’avviamento, i diritti che permettono l’utilizzazione di beni o servizi, le cessioni di contratti (leasing, factoring o appalto); a tale interpretazione è stata mossa la critica per cui essa consisterebbe in un “ammodernamento della teoria tradizionale del capitale come garanzia dei creditori” ;
- Altri ancora sostengono che il capitale sociale possa essere costituito da qualsiasi elemento utile per procurare le risorse necessarie all’iniziativa economica programmata. Questa lettura supera tanto il riferimento all’espropriabilità delle risorse conferibili quanto quello della loro realizzabilità, ritenendo decisiva la possibilità di attribuire ad ogni entità un valore certo ed obiettivo, privilegiando in tal modo una considerazione più dinamica del capitale sociale. In tale prospettiva è stato sostenuto che la valutazione economica delle entità conferibili può coincidere, anche con il valore d’uso del bene, ossia con il vantaggio economico-finanziario che la società trae dalla disponibilità del medesimo e dalla sua destinazione all’attività produttiva. In termini di ricadute applicative questa teoria è la più liberale, ammettendosi la conferibilità di qualsiasi entità a condizione che ad essa sia possibile attribuire un valore certo ed oggettivo. Rispetto alle prospettive più liberali si pone l’interrogativo su chi gravi il rischio dell’imputazione a capitale di entità che difficilmente potrebbero soddisfare i creditori sociali.
- Altri sostengono l’autonomia della disciplina rispetto ad altri segmenti del diritto delle società di capitali e rispetto alle regole ed al dibatto sulle funzioni del capitale sociale. Si ritiene centrale considerare il problema della conferibilità in termini di “valutabilità”, di individuazione dei criteri con cui si opera la selezione delle risorse conferibili. Nessuna entità è inconferibile, così come nessuna entità ha in sé i requisiti di conferibilità, trattandosi unicamente di verificare quale sia il valore da assegnare ad un bene. In questa prospettiva, criteri di determinazione del valore del conferimento sono considerati, oltre quello tradizionale del valore di cambio, anche quello del valore d’uso che il bene può acquisire per la società. Tra questi due criteri quello del valore di scambio ha valenza generale, mentre quello del valore d’uso varia in ragione delle specificità di ciascuna società. La considerazione dell’art. 2464, co. 2, c.c. quale clausola generale, che amplia la sfera della conferibilità, legittima l’interrogativo se si possano imporre le soluzioni previste per “assicurare” conferimenti d’opera e servizi a risorse non previste nell’elenco predisposto dall’art. 2464. La soluzione proposta dal Legislatore della riforma di “assicurare” le risorse di più difficile valutabilità o esigibilità potrebbe essere applicabile ogniqualvolta si diano condizioni di difficile valutazione o esigibilità a fronte di entità che sarebbe utile acquisire all’impresa. Molti e diversi sono i dubbi che tale soluzione potrebbe sollevare: se si tratti di regola eccezionale e non applicabile in via analogica o se l’oggetto della prestazione non si sposti dalla risorsa in sé alla garanzia o al suo valore o se la tecnica dell’assicurazione del capitale non finisca “per favorire la creazione d’imprese senza capitale”. Sul piano generale la tecnica assicurativa predisposta per il conferimento d’opera o servizi e forse estensibile anche ad altre entità di difficile valutazione o esigibilità viene letta come “spia” di quelle tendenze all’ammissibilità di “società di capitali senza capitale sociale”, alimentando il dibattito tra i sostenitori dell’attualità del capitale sociale e coloro che ne proclamano il superamento.
Conferibilità del know-how e diritti di proprietà intellettuale
I conferimenti di know how sono ammissibili sulla scorta delle risultanze positive di settore. Tra i casi rispetto ai quali per un certo periodo vi è stata incertezza circa la conferibilità in sé e rispetto ai quali sono intervenute modifiche legislative decisive vi è quello dei diritti di proprietà intellettuale, del know-how e del diritto al nome e all’immagine. Per i diritti di proprietà intellettuale ed il know-how non sembrano esservi dubbi sulla loro conferibilità in società quali beni in natura. Le incertezze interpretative in merito a tali entità derivavano sia dalla difficoltà di valutazione economica legata all’innovatività dei risultati, sia dalla considerazione della suscettibilità di valutazione economica come espropriabilità. Rispetto alla valutazione economica e alla conferibilità di tali beni la riforma del Codice della Proprietà Industriale del 2005 ha introdotto una categoria nuova, dei diritti di proprietà industriale non titolati (art. 2, art. 98 C.P.I.).
Diritti titolati e non titolati
Nel panorama dei diritti di proprietà industriale si distingue oggi tra:
- diritti titolati – si ottengono dopo una procedura amministrativa di rilascio di un titolo attraverso la registrazione o brevettazione;
- diritti non titolati – situazioni giuridiche di fatto, tutelate con la tecnica del diritto esclusivo. Prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice i marchi non registrati, le invenzioni non brevettate, le conoscenze tecniche aziendali alle quali è riconducibile il know-how, erano tutelate con la disciplina della concorrenza sleale, che offriva una tutela personale ed obbligatoria, una tutela solo rispetto a comportamenti contrari alla lealtà e correttezza professionale. Con l’entrata in vigore del nuovo codice sia i marchi non registrati che le invenzioni non brevettate sono state equiparate dal punto di vista della tecnica di tutela alle invenzioni brevettate e ai marchi registrati; anch’essi sono oggi tutelati con il diritto esclusivo che permette di agire giudizialmente verso chiunque utilizzi o sfrutti il medesimo trovato.
Tutela tramite diritto esclusivo
Pur dandosi differenti condizioni di accesso alla protezione la tecnica di tutela utilizzata è in entrambi i casi quella del diritto esclusivo. La tutela tramite il diritto esclusivo anche di situazioni di fatto ne agevola la circolazione, offrendo maggiore protezione nelle vicende traslative, che in passato esponevano il titolare del diritto ai rischi legati alla divulgazione del segreto; oggi questi rischi sono ridimensionati e ciò incide sulla suscettibilità di valutazione economica di tali diritti, offrendo argomenti a supporto di quelle interpretazioni che già in passato ne sostenevano la conferibilità. Alcune argomentazioni sostenute per i diritti di proprietà intellettuale e alcune delle ricadute della riforma del CPI accennata valgono anche rispetto al tema della conferibilità del know-how, soprattutto in ragione dell’eterogeneità di contributi che vengono ricondotti alla nozione di saper fare.
Know-how e informazioni aziendali
Oggi le “informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali” sono disciplinate agli artt. 98 e 99 CPI e sono tutelate attraverso un diritto esclusivo non titolato di proprietà industriale (art. 2 CPI); tale soluzione offre margini più ampi di certezza rispetto ad eventuali rischi di violazione del segreto e conseguente dispersione dell’innovazione. Per quanto riguarda il saper fare considerato come capacità o abilità personale nello svolgere determinate attività esso può essere ricondotto alla prestazione di un servizio, così come già in parte proposto nel dibattito sull’argomento assistito, oggi, dalle “assicurazioni”.
Diritto all’uso del nome e dell’immagine
Tema connesso allo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale e del know-how è quello della conferibilità del diritto all’uso del nome civile o dell’immagine di personaggi noti e accreditati.
Anche in tal caso si tratta di entità riconducibili alla nozione tracciata all’art. 2464 alla classe dei conferimenti in natura, rispetto ai quali i dubbi del passato sono stati risolti da interventi legislativi di settore. Per quanto riguarda sia lo sfruttamento del nome che dell’immagine di un personaggio noto l’art. 8 del CPI ammette la possibilità di registrare come marchio il ritratto, il nome e altri segni; sarà possibile conferire in godimento o cedere alla società secondo la disciplina dei conferimenti in natura anche i diritti relativi a tali segni, realizzando uno degli obiettivi della riforma consistente nell’offrire ai soci la possibilità di “personalizzare” l’apporto e la partecipazione all’impresa sociale.
Nuovi beni e la loro conferibilità
Un ultimo cenno in tema di entità conferibili deve essere concesso ai “nuovi beni”, entità spesso di ancora incerta qualificazione giuridica, non assistite da specifici diritti esclusivi e da un regime proprietario che ne agevoli la circolazione e la tutela, ma che sono economicamente appetibili anche sotto il profilo dell’esercizio in comune dell’attività di impresa.
Per esemplificare, ci si domanda se e a quali condizioni siano conferibili in una srl i diritti di utilizzazione economica di un “format” televisivo o se e come siano conferibili diritti su eventi sportivi di rilievo o su un’idea pubblicitaria. Rispetto a questi “nuovi beni” dottrina e giurisprudenza oscillano nel riconoscere ora una tutela di stampo proprietario, ora una tutela di natura obbligatoria; il fatto che tali beni si ritengano assistiti da un diritto esclusivo o meno non incide tanto sulla loro conferibilità, lo snodo cruciale essendo quello dell’assegnazione a tali beni di un valore certo e dell’“assicurazione” di tale valore all’impresa sociale attraverso i congegni a tal fine predisposti dalla legge. Come già accennato in tema di diritti di proprietà industriale titolati e non titolati (n. 27), il fatto che a difesa di una licenza esclusiva su un evento sportivo si possa agire attraverso rimedi di carattere assoluto e reale previsti per tali diritti o avvalersi unicamente di una tutela risarcitoria, incide sul regime di circolazione e sul valore economico da assegnare a tali “nuovi beni”.