I diritti particolari
Nella srl dopo il 2003 è possibile attribuire ai soci det diritti a contenuto patrimoniale e amministrativo. L’art. 2468 cc recita: “Resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Detto articolo è stato introdotto con la riforma del 2003 ed è idoneo ad alterare il principio di parità di condizioni tra i soci. Per un generale inquadramento della problematica in esame occorre porre in evidenza i tratti di disciplina fondamentali del modello s.r.l. che risultano dalla riforma. È un modello nel quale, dopo il 2003, ha assunto rilevanza fondamentale:
Secondo la dottrina maggioritaria, è necessario che l’attribuzione dei particolari diritti venga effettuata in favore di “soci” e non di terzi. L’attribuibilità di questi diritti ai soli “soci” significa che: non è possibile la loro attribuzione a chi non sia ancòra socio; non possono permanere in capo a chi non è più socio. La dottrina mette in luce che, quale corollario di quanto affermato, i particolari diritti non afferiscono alla quota sociale, ma sono relativi alla persona del socio (vengono attribuiti nominativamente). Non sono identificabili “categorie di quote” con particolari diritti. Piuttosto i particolari diritti sono attribuiti a classi omogenee di soci, individuate in forza di parametri attinenti: all’ammontare della partecipazione detenuta (soci di maggioranza o minoranza); alla loro natura (soci persone fisiche o giuridiche); alle generalità degli stessi (soci cittadini di uno Stato; soci residenti in un certo Comune). In quest’ultimo caso, la circoscrizione della classe serve solo ad individuare i titolari dei particolari diritti, rimanendo ferma la loro inerenza alla persona del socio e non alla quota. Sono individuali e personali. L’autonomia privata può creare nuovi particolari diritti entro i limiti fissati dal sistema giuridico di rif.
La dottrina si è domandata se sia possibile riconoscere particolari diritti in materie diverse dalla quella amministrativa e di distribuzione degli utili. Parte maggioritaria di essa ammette tale possibilità in quanto ritiene che la disciplina contenuta nell’art. 2468 cc abbia individuato solo le due materie che avrebbero potuto costituire oggetto di tali diritti. Non sarebbe fatto divieto all’autonomia privata di predisporre siffatti diritti anche in materie diverse da quelle contemplate.
I diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società
L’espressione utilizzata dal Legislatore è vaga, ma la latitudine dell’autonomia concessa nel creare situazioni di privilegio nei riguardi di singoli soci trova un limite nei vincoli di sistema e nelle altre norme a presidio dell’interesse sociale. Va interpretata in maniera ampia per comprendere ogni diritto latamente corporativo.
Possono essere annoverate in questa classe le clausole che comportino per l’assegnatario: il diritto ad essere amministratore (a tempo det o indet); il diritto a nominare un amministratore; il diritto di individuare/scegliere un amministratore che poi l’assemblea provvederà a nominare; il diritto di selezionare un amministratore in una rosa di candidati proposta da altri; il diritto di presentare una rosa di nomi all’interno della quale l’assemblea dovrà scegliere l’amministratore; il diritto di veto sulla nomina di un particolare soggetto; il diritto di revocare un amministratore; – diritto di amministratore o il diritto di veto su particolari materie come per le operazioni immobiliari o per l’assunzione di obbligazioni oltre un certo importo. Il diritto particolare di voto non proporzionale non può esser oggetto di particolare diritto per un’interpretazione sistematica del diritto di voto.
È sorto, in dottrina, il dubbio sulla legittimità di una clausola con la quale il voto in assemblea spetti in misura non proporzionale alla partecipazione o sia espresso in modo tale da alterare il principio di uguaglianza tra i soci (inteso nel senso della proporzionalità del voto alla partecipazione da ciascuno detenuta). Il dubbio si radica nell’art. 2479 cc. Il Legislatore della riforma, mentre ha previsto l’alterazione del principio di proporzionalità, rimettendolo all’autonomia privata, nel rapporto tra conferimento e quota di partecipazione e tra questa e diritti di amministrazione o di distribuzione degli utili, non ha previsto che l’autonomia privata possa incidere sulla proporzionalità tipica del rapporto tra diritto di voto e quote di capitale detenute. Il silenzio normativo sul punto fonda il dubbio in ordine alla derogabilità di tale articolo. La dottrina non ha raggiunto posizioni univoche sul punto:
Vengono in considerazione tutte le ipotesi di privilegio nella distribuzione di utili entro i limiti del divieto del patto leonino. Sono ivi annoverabili (tenendo conto che nei modelli capitalistici, a differenza di quelli a base personale, i soci non hanno diritto alla percezione degli utili solo in quanto conseguiti, ma maturano tale diritto dopo la delibera assembleare di distribuzione dei medesimi): le pattuizioni che alterino la proporzionalità tra utili e quota; le pattuizioni che destinino ad un det socio una % fissa di utili; le pattuizioni atte a garantire ad un socio una partecipazione minima agli utili; le pattuizioni tese a consentire ad un socio di percepire una certa quantità di utili, indipendentemente dalla decisione della assemblea di distribuirli, per il sol fatto che sono stati conseguiti.
L’art. 2265 c.c. dispone che: “È nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. L’ampia autonomia concessa ai membri della compagine sociale nel modellare i diritti particolari in commento trova un limite nel principio appena evocato in guisa che risultano precluse alla stessa: clausole convenzionali che, anche in assenza di utili, prevedano una remunerazione fissa in capo a determinati soci; clausole convenzionali che riconoscano diritti particolari, a contenuto patrimoniale, a soci che non abbiano effettuato personalmente i conferimenti essendo stata liberata la quota di cui sono titolari dai conferimenti più che proporzionali di altri membri della compagine sociale. I diritti particolari con ad oggetto il riparto degli utili possono esser plasmati in vario modo purchè nel rispetto dell’art 2265.
Il diritto alla postergazione delle perdite è speculare al riconoscimento di particolari diritti nella ripartizione degli utili. La società può premiare un socio: consentendogli di ottenere una quota superiore di utili rispetto a quella lui spettanti; facendo in modo che egli risponda delle perdite sociali solo dopo che ne abbiano risposto gli altri soci.
La postergazione nelle perdite è consentita dall’art. 2348 cc per le spa. Ciò posto e preso atto che la srl è, anch’essa, capitalistica, non si ravvisano ragioni per negarne validità ad una clausola come quella in esame. L’art. 2482 cc non rappresenterebbe un ostacolo, in quanto richiedendo, in sede di riduzione del capitale per perdite, il rispetto dei diritti di ogni socio risulterebbe compatibile con il riconoscimento, antecedente alla perdita, del diritto alla postergazione in favore di un socio atteso che, poi, nello snodarsi della procedura, sarebbero rispettati i diritti di cui costoro sono titolari; lo stesso, fissando un principio di parità di trattamento tra i soci che si risolve nella tutela di un interesse interno alla società (riguardando solo i soci), potrebbe essere superato all’unanimità. L’articolo in esame intende evitare che, in sede di deliberazione della riduzione del capitale per perdite, si possa conculcare il diritto di alcuno dei soci. L’interesse a che alle perdite concorrano, in modo proporzionale alle partecipazioni, tutti i soci è circoscritto a loro ed è per i medesimi disponibile all’unanimità. Questo è derogabile all’unanimità essendo qui sotteso un interesse disponibile per i soci.