I finanziamenti dei soci
La partecipazione «finanziaria» dei soci alle società di capitali non si esaurisce nei soli conferimenti: è diffuso in tutte le società di capitali il ricorso a forme di interventi «anomali» (riscontro positivo dopo il 2003) di cui costituiscono la prassi: – dei versamenti effettuati a copertura di perdite (presenti o future) o in conto aumento di capitale; – dei finanziamenti dei soci. Si tratta per lo più di operazioni legate alla sottocapitalizzazione nominale delle società e, praticate soprattutto in quelle medio-piccole: sottocapitalizzazione cui mirano a sopperire, con modalità e in frangenti diversi, attraverso: nuova liquidità (sul primo versante); una capitalizzazione o ricapitalizzazione sostanziale (sul secondo versante). La riforma, lungi dall’osteggiare tale prassi, sembra offrire ulteriori argomenti a favore di una «atipicità» nella composizione del patrimonio netto, con vincoli di destinazione a patrimonio diversamente modulati e connotati da distinti gradi di stabilità. La sensazione è confermata dalla ridefinizione della disciplina della struttura finanziaria delle società di capitali, finalizzata a consentire la massima duttilità ed apertura verso l’acquisizione di apporti «atipici», in guisa da favorire un’ampia e variegata «patrimonializzazione» delle imprese italiane. Al contempo il Legislatore ha inteso porre un freno rispetto ai possibili abusi dai soci nel ricorso al più insidioso tra gli strumenti di apporto di nuove risorse finanziare, costituito dai finanziamenti operati in una situazione di crisi: finanziamenti che vengono effettuati dai soci «in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un finanziamento». Qui opera la postergazione e qui si annidano i maggiori rischi di comportamenti opportunistici dai soci a danno dei creditori, posto che i soci che finanziano una società in stato di difficoltà economica godono di asimmetrie informative e sono portatori di un interesse che collide con quello dei creditori. Si giustifica la diffusa ricostruzione dottrinale della regola introdotta nell’art. 2467 come una reazione contro una «scorrettezza compiuta dai soci ai danni dei creditori sociali», rappresentata dall’«aver fornito nella forma di capitale di credito le risorse che avrebbero dovuto mettere a disposizione nella forma del capitale di rischio». Si spiega la delimitazione selettiva tanto della postergazione del credito quanto della restituzione del rimborso prefallimentare alle sole ipotesi dei finanziamenti realizzati nelle circostanze anomale postulate dal secondo comma della norma. Il Legislatore, nel ricercare un rimedio al fenomeno della sottocapitalizzazione, ha dovuto muoversi con cautela «per evitare che, per contrastare un fenomeno negativo, se ne creasse un altro egualmente negativo, costituito dall’impedire ai soci di soccorrere finanziariamente la propria società in caso di naturale, e non provocato, bisogno».
La postergazione dei “finanziamenti” effettuati dai soci opera solo al ricorrere di una delle due condizioni (art. 2467 c.c.): in presenza di un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al PN; al ricorrere di una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Il Legislatore della riforma ha scelto di individuare i presupposti della postergazione ricorrendo a due “clausole generali”. La valutazione in ordine alla sussistenza delle condizioni deve tener conto del «tipo di attività esercitata dalla società». Per applicare la regola della postergazione occorrerà valutare la situazione eco-fin della società da effettuarsi caso per caso, analizzando il settore, le caratteristiche e le circostanze specifiche in cui la società opera. Il rapporto fra indebitamento reale e PN è un indice di bilancio (rapporto di indebitamento) utilizzato per valutare la solvibilità e il rischio della società. Il dato normativo non individua la soglia oltre la quale lo «squilibrio» fra indebitamento e PN è «eccessivo». Per determinare tale soglia la dottrina ha ritenuto opportuno svolgere considerazioni di sistema utilizzando le risultanze positive che seguono:
Il secondo presupposto della postergazione si riferisce alla sussistenza di una situazione finanziaria a fronte della quale sarebbe stato “più ragionevole” effettuare un conferimento e non un finanziamento. È proprio in presenza di un significativo squilibrio economico-finanziario che i soci dovrebbero provvedere ad effettuare i conferimenti necessari a “risanare” l’impresa. Residua la possibilità che la norma si applichi anche ai casi in cui – pur in assenza di un eccessivo squilibrio eco-fin – il capitale sociale appare incongruo rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale. La postergazione del finanziamento opera in fase di liquidazione (volontaria) o nelle procedure concorsuali, poiché tali istituti assicurano il concorso dei creditori sul patrimonio sociale. La regola della postergazione di per sé non preclude la possibilità che i finanziamenti ex art. 2467 c.c. siano rimborsabili (anche) durante la vita della società (e non solo in fase di liquidazione/concorsuale) secondo le modalità previste dall’art. 2491 c.c. che consente la distribuzione di acconti sui dividendi. Applicando in via analogica la citata norma, sembra corretto ritenere che gli amministratori siano legittimati a procedere al rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci dopo aver verificato che la società si trovi in una situazione tale da consentire la tempestiva ed integrale soddisfazione degli altri creditori e ferma la possibilità di richiedere ai soci beneficiari del rimborso idonee garanzie.
Il finanziamento rilevante ai fini dell’art. 2467 c.c. è quello concesso dal «socio»: titolare di una quota. La partecipazione può essere detenuta fin dalla costituzione della s.r.l. o venire poi acquistata o ereditata (art. 2469 c.c.). L’art. 2467, applicandosi ai soci, non si applica quando il finanziamento viene concesso da terzi. Il socio scaltro potrebbe cercare di aggirare i pericoli connessi a un finanziamento alla società facendo risultare come mutuante un altro soggetto, non quotista, al quale risulta legato da un vincolo. Trattandosi di una persona diversa dal socio, il finanziamento non rientrerebbe nell’applicazione dell’art. 2467 c.c. Nella prassi vi è un rischio concreto che il socio faccia risultare il finanziamento come effettuato da terzi, mettendosi al riparo dalle poco piacevoli conseguenze previste dalla disposizione in esame. Il fenomeno è disciplinato dal Legislatore nell’ambito del contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione. Il TUIR prevede che la remunerazione dei finanziamenti eccedenti, direttamente o indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata, è indeducibile dal reddito imponibile qualora il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d’imposta dei finanziamenti e la quota di PN contabile di pertinenza del socio e delle sue parti correlate sia superiore a quello di quattro a uno (art. 98 comma 1 TUIR). Per la determinazione di tale rapporto, «rilevano i finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato o da sue parti correlate». Il finanziamento può essere erogato da un terzo rispetto al socio. Il Legislatore fiscale parifica la situazione del socio finanziatore alla presenza di una parte correlata che eroga il finanziamento. Il Legislatore italiano non opera distinzioni in relazione alla % di capitale detenuta: l’art. 2467 c.c. si applica a tutti soci, qualunque sia la partecipazione al capitale. Dal punto di vista fiscale la situazione è diversa poiché la disposizione che prevede l’indeducibilità si applica solo a soci qualificati. Il socio è qualificato quando direttamente o indirettamente controlla il soggetto debitore; partecipa al capitale sociale del stesso debitore con una % di almeno il 25%, alla determinazione della quale concorrono le partecipazioni detenute da sue parti correlate». I finanziamenti in esame non devono necessariamente essere effettuati da tutti i soci. I prestiti non devono per forza essere erogati in proporzione alla partecipazione al capitale. Può capitare che:
Occorre soffermarsi sull’«eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al PN» Il Legislatore utilizza l’espressione «eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto». I due termini di paragone sono le risorse «proprie» della società e le risorse «terze», di cui la s.r.l. dispone in forza di un rapporto di debito. La situazione di «eccessivo squilibrio» non coincide con l’insolvenza della società. Lo stato d’insolvenza, secondo la legge fallimentare, «si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». L’eccessivo squilibrio si verifica prima di un’eventuale dichiarazione di fallimento. Centrale è il momento in cui il finanziamento viene concesso dai soci alla s.r.l. Occorre valutare se la società, il giorno rilevante, si trovava in eccessivo squilibrio. La valutazione va effettuata ex ante. La domanda da porsi è: i quotisti sarebbero stati disposti a partecipare a un aumento di capitale in quel momento o, valutato il rischio di perdere le somme conferite, non lo avrebbero sottoscritto? In caso di risposta negativa, dal punto di vista del Legislatore i soci si sono comportati scorrettamente poiché hanno cercato di ridurre il rischio imprenditoriale utilizzando lo strumento del finanziamento invece del conferimento. Il finanziamento è essenziale e ha conseguenze sulla esatta qualificazione dei prestiti dei soci. Sarebbe errato ritenere che tutti i finanziamenti dei soci non sono rimborsabili in presenza di creditori sociali insoddisfatti. Va operata una distinzione basata sul momento in cui il prestito é erogato in guisa che:
L’“eccessività” non è circoscritta dal Legislatore. Spetta agli interpreti attribuirvi un significato. La s.r.l. soddisfa il presupposto fissato dall’art. 2467 c.c. quando è eccessivamente indebitata. Il legislatore dice che il rimborso dei crediti dei soci è postergato al soddisfacimento degli altri creditori sociali anche quando il finanziamento è avvenuto «in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». Se un conferimento sarebbe stato «ragionevole», allora il finanziamento che è stato erogato è «irragionevole».
Elemento caratterizzante il «finanziamento» è l’obbligo di rimborso che sia in capo alla società verso i soci finanziatori. L’assenza dell’obbligo di restituzione fa sì che:
Socio e società concludono un contratto in forza del quale il socio, come mutuante, mette a disposizione della s.r.l., come mutuataria, una somma di danaro, convenendosi fra le parti che tale importo dovrà essere restituito a una certa scadenza. La previsione (o meno) di interessi come controprestazione per la corresponsione del finanziamento non incide sulla nozione di prestito e sull’applicabilità dell’art. 2467 c.c.
Nel caso di finanziamento dei soci alla società:
-inassenzadipattuizionifralepartidovrebberitenersiapplicabilel’art.1815c.c.,secondocuiilmutuatario(la società)devecorrisponderegli interessi almutuante(il socio);
La natura di passività del finanziamento dei soci per la società impone di qualificarli contabilmente, unitamente ai correlativi interessi, “debiti verso soci per finanziamenti” e di ipotizzarne l’appostamento in bilancio sotto la voce D3 del passivo e non come componente del PN con la predisposizione di un’apposita riserva. Essi non incidono sul CE, mentre rimane inevasa la questione attinente alla necessità di provvedere ad indicarne la presenza, in modo separato, nella nota integrativa.
La regola di rimborso non si applica né ai conferimenti né ai versamenti a fondo perduto, ma solo ai prestiti con obbligo di rimborso. Il finanziamento è una dazione con obbligo di rimborso a cui può aggiungersi il pagamento di interessi. Il finanziamento, per la società che lo riceve, è un debito.