La mancata esecuzione dei conferimenti
Le opinioni che si sono consolidate in dottrina, dopo la riforma, sono:
L’art. 2466 c.c. dispone che “Se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo entro 30gg”. La diffida, preso atto che la valutazione dei tempi dell’adempimento è competenza dell’organo amministrativo: non serve a costituire in mora il socio inadempiente, che deve ritenersi moroso con lo spirare del termine fissato dall’organo amministrativo per il versamento dei centesimi ancora dovuti; e poi non si identifica con una diffida ad adempire civilistica atteso che non mira alla risoluzione del rapporto corrente tra la società e il socio, ma svolge una funzione informativa nei riguardi di questo sulle conseguenze dell’inadempimento e incardina la procedura di reazione sociale nei suoi riguardi, ed è la prima fase del procedimento di morosità.
Quanto ai diritti amministrativi occorre ricordare che il socio moroso, mentre nella s.p.a. non può esercitare il diritto di voto (art. 23444 c.c.), ma gli spetta il diritto di intervento, nella s.r.l non può partecipare alle decisioni dei soci (art. 24664 c.c.).
L’art. 2466, comma 2°, c.c. dispone che: “Decorso inutilmente questo termine gli amm, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione della loro partecipazione la quota del socio moroso” Solo l’organo amministrativo può procedere in via giudiziale contro il socio moroso per realizzare, in modo coattivo, quanto oggetto del proprio credito nei suoi riguardi. Il medesimo potrà instaurare un giudizio ordinario di cognizione o agire in via monitoria, rimanendo possibile per la società, una volta incardinato il procedimento giudiziario, procedere alla vendita in danno della partecipazione del socio moroso. L’organo amm, una volta praticata infruttuosamente la vendita in danno del socio moroso, potrebbe tentare il recupero dei centesimi nei confronti dei soci in via giudiziaria. La dottrina non pare avere raggiunto una visione condivisa della situazione soggettiva da riconosce agli altri soci con riferimento all’acquisto della partecipazione del socio moroso posto che parte di essa evoca un diritto di opzione in loro favore, nei limiti delle partecipazioni da ciascuno detenute, mente, altra parte della stessa, riconosce ai medesimi la legittimazione individuale ad offrire l’acquisto dell’intera partecipazione sociale del socio moroso. Il socio moroso ha diritto di partecipare alle decisioni dei soci ma gli competono tutti i diritti patrimoniali connessi alla partecipazione. Il soggetto che cura la vendita della partecipazione del socio moroso deve curare solo gli interessi della società creditrice.
L’art. 2466 dispone che: “La vendita è effettuata a rischio e pericolo (e non “a rischio e per conto”) del medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto”. Alcuni ritengono l’innovazione inutile e sintomatologica di una cattiva tecnica redazionale del Legislatore delegato. Altri hanno ritenuto che la modifica non fosse casuale atteso che risultava idonea ad emancipare il ruolo dell’organo amministrativo da quello di mandatario del socio moroso. La diversa prospettiva ermeneutica, produce effetti operativi non trascurabili atteso che l’interesse preso di mira dal Legislatore non è più quello del socio moroso di ottenere le migliori condizioni per il disinvestimento, ma quello della società di recuperare le risorse attese da quest’ultimo col riconoscimento al suo organo amministrativo di vendere la partecipazione altrui onde ottenere i centesi ancora dovuti.
La tutela del principio di effettività del capitale impone di riconoscere, anche senza espressa disposizione normativa, l’applicabilità dell’art. 2466 c.c. in sede di aumento del capitale a pagamento. Bisogna comprendere quale sia la sorte della partecipazione di cui è titolare il socio sottoscrittore inadempiente all’obbligazione di conferimento assunta in sede di aumento. Non è chiaro se gli effetti dell’art. 2466 c.c. debbano essere circoscritti alla porzione di quota sottoscritta in sede di aumento o vadano estesi a tutta la partecipazione del socio. La dottrina maggioritaria predilige la prima soluzione utilizzando, alternativamente, come argomenti di conforto, la sussistenza di ragioni equitative, il principio di divisibilità della quota e la necessità di scoraggiare abusi dalla maggioranza.
L’art. 2466 dispone che: “Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse”. L’esclusione è un obbligo per l’organo amm; è conseguenza diretta dell’insuccesso della procedura di vendita in danno (la quale, ad opinione della dottrina migliore, in assenza di un’apposita previsione statutaria, non potrà avere come interlocutori soggetti diversi da quelli che compongono la compagine sociale); la ritenzione dei centesimi già versati si atteggia come clausola penale ex lege e, sarebbe sempre possibile, anche senza espressa disposizione autorizzatoria, la domanda tesa al riconoscimento del maggior danno. Il socio escluso può fare opposizione utilizzando argomenti di natura sostanziale (adempimento) o formale (mancata comunicazione della diffida o carenza di legittimazione dei firmatari della medesima). La riduzione del capitale in conseguenza della mancata realizzazione del procedimento di vendita in danno della quota. L’art. 2466 dispone che “Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente”. Problemi: le regole sulla competenza decisionale, intervenendosi sull’atto costitutivo, risultano quelle fissate dall’art. 2479 bis c.c. Alcuni le riconoscono (preferibile), qualificando la morosità alla stregua di una perdita, carattere nominale, mentre altri attribuiscono a tale operazione carattere misto (nominale per parte di capitale non ancora versata, reale per la parte già versata); altri ancora dicono che l’intera operazione dia luogo ad una riduzione reale del capitale sociale priva del connotato del rimborso ai soci. L’eseguibilità della decisione risente dalla qualificazione dell’operazione sottesa di tal che ove se ne riconosca la natura reale essa sarà soggetta alle regole fissate dall’art. 2482, mentre nel caso opposto risulterà immediatamente eseguibile (preferibile).
Il problema della perdita dei centesimi già versati, a seconda che si ritenga che l’operazione di riduzione riguardi tutta la partecipazione del socio moroso (preferibile) o solo la parte per la quale non sono stati effettuati i versamenti. Nel primo caso, la riduzione interverrebbe per l’intero valore nominale della partecipazione del socio moroso e i centesi già versati andrebbero a formare o ad alimentare una riserva di patrimonio. Nel secondo caso, la riduzione del capitale sociale riguarderebbe solo la partecipazione del socio moroso non coperta dai versamenti in guisa che i centesi residui vengano ad accrescersi, in via immediata, in capo agli altri soci, mentre il capitale sociale della società si ridurrà in misura pari alla differenza corrente tra quanto sottoscritto e quanto versato dal socio inadempiente.