Passo della Genesi (1400–1300 A.C. in Egitto), un giovane ebreo, Giuseppe, liberato dalle carceri egiziane in cui era stato ingiustamente recluso, descrive il ciclo economico e la prima lezione di politica economica anticiclica di lungo periodo.
La variabile considerata nel ciclo è la produzione di grano: si descrive una crescente produzione di grano per sette anni, alla quale seguono sette anni di produzione scarsa o nulla.
Le variabili che prese in considerazione dagli economisti per studiare un ciclo sono il reddito nazionale, il PIL, i consumi, gli investimenti o l’occupazione.
Quale delle variabili economiche sopra considerate venga presa in considerazione, si registra che essa tende ad un trend crescente nel tempo
con oscillazioni cicliche intorno al percorso di crescita.
La situazione in cui il sistema economico si trova in un dato momento del ciclo è la congiuntura.
Nei cicli economici vengono individuate le seguenti fasi o congiunture: boom economico (il PIL cresce rapidamente); recessione (diminuzione del PIL in almeno due trimestri consecutivi); depressione (la produzione continua a diminuire e la disoccupazione è alta); ripresa (il PIL inizia nuovamente a crescere, torna a crescere la domanda di beni dai consumatori; i dettaglianti tornano ad effettuare ordinativi ai grossisti, e questi alle imprese produttrici di beni, che cominciano ad espandere la produzione e a reinvestire in capitale fisico aggiuntivo).
Grandi depressioni si sono registrate lungo la storia anche nelle economie pianificate.
Gli studiosi che hanno approfondito maggiormente lo studio dei cicli e ne hanno dimostrato la durata sono stati tre: Kondratiev ha dimostrato l’esistenza di regolari cicli sinusoidali molto lunghi, di 50–60 anni, dalla rivoluzione industriale fino al 1910.
Kondratiev sosteneva che i cicli lunghi si verificano indipendentemente da eventi straordinari, come guerre, carestie, invenzioni.
La dimostrazione statistica di Kondratiev dell’esistenza di cicli economici regolari di 50–60 anni non ha portato fortuna, perché l’economista smentiva l’equilibrio economico neoclassico e la convinzione insita in quel modello della naturale tendenza del sistema economico capitalistico all’equilibrio, quanto le tesi economiche di Marx.
Juglar aveva individuato cicli regolari di durata più breve, 7-11 anni.
Il ciclo ha una riduzione del credito e l’aumento delle riserve bancarie nelle fasi di recessione e depressione, l’andamento opposto durante la ripresa e il boom.
Nel ciclo di Juglar ci sono oscillazioni degli investimenti in capitale fisso e non solo cambiamenti nel livello delle scorte commerciali.
Kitchin individuò il ciclo più breve, basato sulle variazioni delle scorte e avente durata breve, 2-4 anni.
Visto che l’esistenza dei cicli è accertata e che essi hanno tre tipi di durata (breve, media e lunga), l’andamento nel tempo del PIL di un Paese può essere rappresentato con tre tipi di cicli: uno di lungo termine (50–60 anni), uno di medio termine (7–11 anni) ed uno di breve (3–4 anni).
Gli studi di Kondratiev, Juglar e Kitchin dimostrano che il sistema economico non tende mai all’equilibrio economico, come supposto erroneamente dalla teoria classica inglese e neoclassica.
Al contrario, come dimostrano Juglar e Kitchin sono evidenti oscillazioni degli investimenti in capitale fisso e delle scorte commerciali.
Quindi esistono periodi in cui l’assorbimento è superiore al reddito percepito e viceversa.
Periodi in cui si ha un eccesso di investimento in capitale fisico rispetto al risparmio disponibile e viceversa.
Considerando un’economia chiusa agli scambi con l’estero, in termini macroeconomici, seguendo l’approccio assorbimento, vuol dire che nelle fasi discendenti del ciclo si ha un eccesso di risparmio sugli investimenti S>I=Y>(C+I) e viceversa nelle fasi ascendenti S<I=Y<(C+I).
– Teoria economica classica e neoclassica: secondo loro i cicli economici sono determinati da fattori esogeni perché il
sistema economico tende naturalmente all’equilibrio.
L’economia che discende dall’osservazione dei cicli è un’economia in disequilibrio e l’equilibrio è condizione rara anche se l’economia gli viene presentata come tendente naturalmente all’equilibrio.
Sia i classici che i neoclassici ritenevano che il mercato fosse in grado di garantire l’equilibrio tra domanda e offerta.
Tra i grandi classici, solo Malthus si era reso conto che esistevano condizioni in cui, a causa del risparmio, la domanda poteva essere inferiore alla produzione.
Il marginalismo era riuscito a superare i limiti della teoria classica messi in luce dalla critica marxista e da quella della scuola teorica tedesca, ricorrendo all’etica utilitaristica e formalizzando le ottimizzazioni utilitaristiche degli operatori economici nei propri schemi teorici.
L’evidenza statistica dell’esistenza dei cicli economici demoliva dalla fondamentale tesi neoclassiche.
Il marginalismo cercò di reagire all’evidenza dei cicli.
In un primo momento concepì il ciclo solo come determinato da ragioni esogene.
Jevons elaborò la teoria delle macchie solari, che hanno un ciclo di durata ultradecennale: l’attività delle macchie segue un ciclo di 11 anni.
Ogni ciclo comprende un massimo ed un minimo, che sono identificati contando il numero di macchie solari che appaiono in ciascun anno del ciclo.
All’inizio del ciclo seguente, le nuove macchie compaiono a latitudini elevate, per poi abbassarsi col procedere del ciclo.
Questo fatto è stato osservato scientificamente e si ripete con regolarità.
Controversa è invece la teoria che i cicli solari influenzino il clima e che così creino regolarmente carestie che determino l’andamento del ciclo osservato da Juglar.
Nessuno studio scientifico attualmente è riuscito a dimostrare un nesso tra le crisi economiche mondiali e le carestie.
Diversa è la spiegazione del ciclo economico proposta da Shumpeter, che era convinto che esistesse un’economia politica naturale, sganciata dalla politica e che questa materia andasse ascritta alle scienze naturali e non a quelle sociali.
Si rese conto che la descrizione dell’equilibrio generale proposta dal marginalismo era smentita dalla realtà del ciclo e passò tutta la sua vita ad affrontare il tema del ciclo, fino a superare il marginalismo e a proporre una concezione dinamica dell’economica neoclassica, seppure viziata dalle errate posizioni positiviste tipiche della sua cultura.
Fondamentale è la teoria dello sviluppo economico e sui cicli da lui elaborata per la comprensione del funzionamento dell’economia che, nonostante alcuni limiti metodologici è tra le teorie più aderenti alla realtà.
In molti testi Schumpeter è presentato come colui che ha attribuito le fluttuazioni cicliche e lo sviluppo economico al progresso tecnico.
E’ più corretto dire che è il primo ad affermare che le invenzioni non sono nulla senza il ruolo di due grandi agenti: gli imprenditori e le banche.
Il punto di partenza è la condizione di equilibrio walrasiano: qui i prezzi dei prodotti sono uguali ai prezzi dei servizi del lavoro e della terra in essi contenuti e tutti i redditi si risolvono in salari e rendite.
In questa economia non esisterebbero risparmi né interesse e la moneta sarebbe solo un velo: non vi sarebbero cicli economici, non vi sarebbero le fasi congiunturali.
Ovviamente è un’ipotesi di scuola, perché non esistono economie senza risparmi, né interesse.
Perché avvenga lo sviluppo economico è necessario che si sviluppino nuove invenzioni e progresso tecnico, ma questa condizione non è sufficiente senza l’intervento di due figure: l’imprenditore, che riesce a scoprire un modo nuovo e più efficiente di produrre i beni o inventa nuovi beni; la banca che finanzia l’imprenditore e sostiene tale processo.
L’imprenditore combina le nuove scoperte e le innovazioni in modo da utilizzare le forze produttive in modo diverso da quanto fatto in precedenza.
Egli utilizza le forze produttive: con un nuovo processo produttivo, per produrre i beni tradizionali (innovazione di processo) o per produrre un nuovo bene (innovazione di prodotto).
Essendo il sistema in equilibrio, ha bisogno di trovare i mezzi di produzione per fondare accanto ed in concorrenza con le imprese esistenti la sua nuova impresa.
Ciò accade grazie all’intervento del banchiere, che finanzia l’imprenditore con i fondi depositati presso la sua banca dai clienti.
Il banchiere sostiene l’imprenditore per lucrare la differenza tra quanto gli costa un deposito e quanto riceve da un prestito, attuato grazie al moltiplicatore dei depositi bancari.
L’imprenditore può dunque ottenere i fattori della produzione di cui necessita perché si avvale dei mezzi di pagamento resi disponibili via moltiplicatore dei depositi dal banchiere: il capitalismo si basa sulla capacità del banchiere di moltiplicare il capitale, via moltiplicatore dei depositi bancari.
Il banchiere eroga il prestito perché percepisce un interesse, che l’imprenditore può pagare in quanto la nuova combinazione produttiva gli consente di lucrare un profitto e battere le vecchie imprese.
L’imprenditore innovatore viene imitato da altri e ciò determina un incremento degli investimenti.
Poi iniziano le nuove produzioni, il mercato verrà raggiunto dai nuovi prodotti e l’imprenditore inizierà a competere con le vecchie imprese operanti nel settore.
Gli incassi delle vendite dei prodotti vengono utilizzati per remunerare i fattori della produzione, per restituire il capitale e pagare gli interessi.
I nuovi prodotti immessi sul mercato riducono i prezzi e mettono in difficoltà le aziende obsolete.
Tutto ciò viene considerato positivamente da Schumpeter: l’economia di mercato funziona grazie alle differenze tra gli uomini e all’affermazione dei più forti.
Questo darwinismo sociale, finanziato dal sistema bancario, consente la crescita economica nell’economia capitalistico liberale.
La forza del capitalismo è la distruzione creatrice.
E’ con la distruzione delle vecchie produzioni e creazione di nuovi processi e prodotti, finanziato dalle banche con il moltiplicatore dei depositi bancari, l’origine del progresso economico e del ciclo.
Schumpeter considera normali le depressioni, perché necessarie ad eliminare le imprese obsolete.
Secondo lui sono brevi, sono un ritorno all’equilibrio e determinano variazioni dei redditi e dei prezzi contenute.
Il sistema economico incorre invece in gravi crisi economiche quando gli operatori economici entrano nel panico e quando si succedono fallimenti di importanti industrie.
Schumpeter fece tre previsioni, convinto che si sarebbero realizzate: il capitalismo sarebbe stato caratterizzato sempre più da grandi “cartelli di imprese”; i cicli economici sarebbero stati sempre di minore ampiezza; si sarebbe registrato un continuo calo dei prezzi.
La prima previsione è corrispondente a quanto accaduto ma le altre due risulteranno sbagliate.
Schumpeter cerca di dare una spiegazione esauriente dei tre cicli economici osservati (lungo, medio e breve) coerente con la sua dottrina della distruzione creatrice: le innovazioni epocali (macchina a vapore, petrolio) si susseguono a cicli lunghi, intorno ai 50 anni e spiegano i cicli di Kondratiev; le innovazioni intermedie spiegano i cicli di Juglar; infine le innovazioni minori spiegano i cicli di Kitchin.
La fase ascendente del ciclo descritto dalla teoria di Schumpeter: EMT>EMT t-1 → EMK>i → ΔI>ΔS a condizione che C=1/qD in cui EMT è l’efficienza tecnologica degli impianti produttivi, C sono i crediti erogabili dal sistema bancario in base al moltiplicatore dei depositi bancari, q è la riserva obbligatoria, D sono i depositi originari.
Shumpeter dice che alla base dello sviluppo economico c’è il ruolo strategico della banca che finanzia gli imprenditori capaci di usare le nuove tecnologie.
– Teoria economica monetarista: La teoria del ciclo di medio e breve termine quantitativo si deve a Hawtrey.
Secondo lui le quattro fasi del ciclo economico sono spiegate solo dalle variazioni della quantità di moneta e dipendono dal comportamento congiunto delle banche e degli operatori economici: alla fine della fase recessiva le banche hanno risorse non utilizzate dagli operatori economici, quindi sono disponibili ad erogare prestiti ad un tasso basso e a moltiplicare i propri depositi.
I grossisti sono sensibili al minor costo del credito ed espandono le proprie scorte commerciali, questo comporta maggiori ordinativi alle aziende produttrici, che aumentano la produzione, che genera un maggior impiego dei fattori della produzione, che genera un aumento della domanda globale.
Il sistema raggiunge la piena occupazione, ma questo non frena la fase ascendente, perché genera l’aumento dei prezzi, che genera ulteriori incentivi per i grossisti ad aumentare le scorte per due ragioni: la svalutazione favorisce i debitori (rimborseranno alle banche meno di quello che prelevano) e accresce il prezzo delle scorte.
Il raggiungimento della piena occupazione non frena, secondo Hawtrey, la fase ascendente del ciclo.
Piuttosto è il limite monetario a bloccare la fase ascendente del ciclo.
Fase ascendente del ciclo:
i↓→ΔM↑→ΔQ(P costanti)↑=vM↑→Δ Scorte commerciali↑→Δ(P costanti)Q↑→ΔM↑.
Il processo prosegue anche se aumentano i prezzi e le quantità sono stabili, perché è indifferente per i commercianti se vendono la stessa merce ad un prezzo più alto o più merce allo stesso prezzo: è sempre PQ.
Le banche possono espandere il credito fino ad un certo punto, ma devono garantirsi una certa % di moneta disponibile rispetto ai crediti erogati.
Quando esse registrano una carenza di liquidità iniziano a restringere il credito e si attua un processo inverso a quello della fase ascendente.
Le banche aumentano il tasso di interesse.
I grossisti, sensibili al maggior costo del credito, diminuiscono le proprie scorte commerciali, si hanno quindi meno ordinativi alle aziende produttrici, che diminuiscono la produzione.
La diminuzione della produzione determina un minor impiego dei fattori della produzione, che genera una diminuzione della domanda globale.
Il sistema entra in depressione, ma questa circostanza non frena la fase discendente, perché genera la deflazione, cioè la diminuzione dei prezzi.
La diminuzione dei prezzi genera ulteriori incentivi per i grossisti a diminuire le scorte per due ragioni: la rivalutazione della moneta favorisce i creditori (per cui i grossisti rimborserebbero alle banche più di quello che prelevano) e diminuisce il prezzo delle scorte.
Il processo terminerà quando le banche invertiranno la loro politica creditizia tornando a concedere prestiti.
Hawtrey rimuove il presupposto tipico della teoria quantitativa tradizionale, perché nel suo schema, durante le fasi del ciclo, varia la produzione delle imprese (Q), considerata nella dottrina ortodossa stabilmente in condizione di piena occupazione.
Hawtrey era stato influenzato da Wicksel.
L’autore era partito dall’osservazione che, a differenza di quanto previsto dalla teoria quantitativa ortodossa si registrava nell’economia la contemporanea presenza di tassi di interesse elevati e prezzi elevati: come era possibile che la riluttanza delle banche a concedere prestiti (scarsità di moneta) fosse associata a prezzi più alti (eccesso di moneta).
Il grande economista introdusse il tasso d’interesse naturale distinto da quello di mercato applicato dalle banche, ovvero il tasso dipendente da ragioni monetarie: il tasso naturale di interesse è il rendimento atteso dagli investimenti, che quando è maggiore del costo del denaro sul mercato monetario, la domanda di prestiti permane, anche se il costo del denaro aumenta.
– Teoria economica keynesiana: la convinzione di Keynes che non sia automatico l’incontro tra gli investimenti fisici
reali e il livello del risparmio, lo porterà ad una rivoluzione del pensiero economico rispetto allo schema classico e neoclassico.
Il livello degli investimenti in capitale fisico effettivamente realizzatosi
dipende, in Keynes, dall’incontro tra le aspettative di profitto attese e il costo del denaro: il ruolo centrale è l’efficienza marginale del capitale, che Wicksell aveva definito il tasso d’interesse naturale, ossia il rendimento atteso dagli investimenti.
Keynes è stato il primo a dimostrare l’influenza della speculazione sull’andamento del ciclo economico.
In borsa la quasi totalità del pubblico, spesso avvalendosi di professionisti, acquista e vende titoli per
trarre profitto dalle variazioni di breve termine delle quotazioni grazie al rialzo o al ribasso dei titoli sui mercati, e non più per “impiegare” in modo duraturo i risparmi posseduti.
Questa circostanza contribuisce ad accrescere le fasi espansive e recessive del ciclo: quando nelle fasi espansive crescono i profitti e cresce la domanda globale, gli speculatori di borsa giocano al rialzo.
C’è una relazione inversa tra la quotazione dei titoli e il tasso di interesse, per cui l’aumento delle quotazioni comporta automaticamente la riduzione del saggio di interesse effettivo: a parità di efficienza marginale del capitale, gli investimenti aumentano.
Keynes ha messo in luce che il saggio corrente di interesse può allontanarsi da quello che Wicksell definiva saggio naturale di interesse a causa delle speculazioni borsistiche e non solo per la politica bancaria di espansione o diminuzione dei crediti.
Viceversa quando la fase di espansione si arresta in borsa prevale il ribasso, il corso dei titoli diminuisce, e la diminuzione delle quotazioni comporta l’aumento del saggio di interesse effettivo: a parità di efficienza marginale del capitale, qui gli investimenti diminuiscono.
Le aspettative degli speculatori determinano l’altezza della curva dell’efficienza marginale del capitale: durante l’espansione le aspettative degli speculatori spostano la curva dell’efficienza marginale del capitale verso l’alto; durante la depressione le aspettative degli speculatori spostano la curva dell’efficienza marginale del capitale verso il basso.
Di fronte all’impossibilità di gestire le aspettative pessimistiche, Keynes suggerirà durante le depressioni la sostituzione dei mancanti investimenti privati con investimenti pubblici.
Questa strada non è sempre stata utile nel lungo periodo e, a causa dei meccanismi della massimizzazione del consenso, i deficit pubblici e i debiti sovrani sono cresciuti sempre di più, tanto che la gestione di deficit e debiti sovrani è diventata una delle priorità della politica economica contemporanea.
Si elabora il concetto di “acceleratore” degli investimenti.
Keynes considera gli investimenti la variabile principale del suo sistema teorico: in un’economia di mercato sono le aspettative di futuri profitti e il costo del denaro a determinare il livello degli investimenti, il livello degli investimenti, via moltiplicatore determina il reddito nazionale.
I=f (EMK>i) e Y=1/(1-c)I.
Ma l’acceleratore è il fenomeno economico opposto al moltiplicatore: mentre in quest’ultimo l’investimento iniziale determina un reddito per gli impieghi dei fattori, che per la parte spesa determina ulteriore reddito, l’acceleratore è il fenomeno per cui un aumento della domanda globale, percepito come definitivo, genera un investimento.
Nel moltiplicatore l’investimento genera reddito; nell’acceleratore il reddito genera investimento.
Eravamo abituati a considerare il reddito funzione dell’investimento e le variazioni del reddito funzioni delle variazioni degli investimenti, ora consideriamo gli investimenti funzione crescente del reddito: gli investimenti crescono al variare del reddito secondo il rapporto capitale-prodotto medio esistente a livello macroeconomico in un’economia.
ΔI=αΔY in cui α è l’acceleratore, ovvero il rapporto capitale-prodotto medio esistente a livello macroeconomico.
Il ciclo parte da una situazione in cui vi sono ottime aspettative di profitto futuro, bassi tassi di interesse e disoccupazione: in qui è favorevole investire.
L’investimento iniziale genera, per azione del moltiplicatore keynesiano un aumento della domanda di beni e del reddito nazionale.
Le imprese, di fronte a questo incremento di domanda, interpretano parte dell’incremento del reddito come permanente ed espandono la loro capacità produttiva per il principio dell’acceleratore.
L’incremento del reddito interpretato come incremento permanente, determina nuovi investimenti in nuovi impianti e macchinari.
EMK>i→ΔI↑→ΔY↑=1/(1-c)I↑→ΔI↑=αΔY↑→ΔY↑→ΔI↑.
Il processo va avanti fino a quando le prospettive di profitto non si modificano e allora il processo si inverte e il moltiplicatore e l’acceleratore agiscono in senso negativo: EMK<i→ΔI↓→ΔY↓=1/(1-c)I↓→ΔI↓=αΔY↓→ΔY↓→ΔI↓ inizia allora la fase discendente, che poi diventa recessione: le negative prospettive di profitto diminuiscono o azzerano gli investimenti, i mancati investimenti determinano, a causa del moltiplicatore, una perdita di domanda globale, che determina, a causa dell’acceleratore, ulteriore diminuzione del reddito nazionale, finché non si modificano di nuovo le prospettive di profitto e il ciclo si inverte.
– Teoria economica marxista: è legata alla teoria del plusvalore e alla teoria dei rendimenti decrescenti del capitale.
La questione centrale è la lotta di classe tra capitalisti e proletari.
Come la teoria di Schumpeter, anche la teoria di Marx è un’applicazione ai fenomeni sociali del Darwinismo.
Quando vi è disoccupazione, dice Marx, i proletari sono costretti dalle circostanze ad accontentarsi del salario di sussistenza.
Se nello schema marxista i profitti dipendono dal plusvalore, il capitalista, quando può pagare bassi salari, può accrescere il plusvalore (profitti).
Gli imprenditori investono allora i loro profitti nell’acquisto di impianti e macchinari, ovvero in investimenti in capitale fisico aggiuntivo, convinti di accrescere così il proprio plusvalore o profitto.
Gli imprenditori, oltre a costruire nuovi impianti, assumono altri operai, prima disoccupati, che ora hanno un reddito da poter spendere: si ha un aumento delle quantità prodotte e un aumento dell’occupazione e dei consumi.
I maggiori consumi determinano un aumento della domanda e ulteriori investimenti.
Questo processo espansivo dura, anche nell’analisi marxista, finché non si raggiunge la piena occupazione.
Nello schema keynesiano sono le aspettative pessimistiche, prima di raggiungere la piena occupazione, a modificare il ciclo; in Hawtrey è la politica restrittiva di credito bancario a modificare il ciclo; in Marx è invece il raggiungimento della piena occupazione che comporta un aumento dei salari e l’aumento dei salari determina una diminuzione del plusvalore, ovvero dei profitti, che determina la diminuzione degli investimenti, della produzione e l’avvio della fase recessiva, che determinerà licenziamenti, caduta della produzione secondo un processo inverso.
Quest’analisi marxista si inserisce nella teoria dei rendimenti decrescenti del capitale.
Ciclo dopo ciclo da un lato aumenta il costo del capitale e dall’altro diminuisce la partecipazione del lavoro alla produzione.
Nella teoria marxista il profitto è la parte di valore-lavoro sottratta ingiustamente dai capitalisti ai lavoratori e non la remunerazione per la nuova combinazione dei fattori organizzata dall’imprenditore, che si assume il rischio del fallimento, come ritiene Shumpeter.
Man mano che diminuisce la partecipazione del lavoro alla produzione, diminuisce la possibilità di produrre plusvalore e quindi profitto: questo processo comporta la diminuzione nel tempo del saggio di profitto.
Nel tempo è destinato a diminuire il tasso di plusvalore pv/v e muta la composizione del capitale investito.
Con l’aumento nel processo produttivo del “capitale costante” e la diminuzione del lavoro, che produce plusvalore (pv), il saggio di profitto p=pv/(c+v) diminuisce.
Il capitalismo è destinato quindi, secondo Marx, a rendimenti decrescenti.
L’idea di Marx che esista una componente ciclica di breve periodo legata al conflitto capitale-lavoro ha invece un certo fondamento.
La cooperazione capitale-lavoro è più produttiva nel lungo termine tanto della lotta di classe, quanto dello sfruttamento dei proletari dalle classi più ricche.
Quindi secondo le teorie monetariste il ciclo dipende dalla politica creditizia delle banche, mentre nelle teorie
keynesiane il ciclo economico dipende dal mutamento delle aspettative degli imprenditori.
Il moltiplicatore dei depositi non è la ragione dei problemi dell’economia.
Il sistema bancario presta i depositi originari depositati presso di esso, trattenendone il 10%.
I crediti erogati torneranno al sistema bancario e il processo proseguirà e i depositi finali saranno un multiplo di quelli originari e il coefficiente moltiplicativo dipenderà dalla riserva obbligatoria e dal patrimonio di vigilanza utilizzato per ogni prestito erogato.
Il moltiplicatore dei depositi non è il problema dell’economia di libero mercato.
Il banchiere è come il custode di un garage di automobili identiche, che rende disponibili le automobili che altrimenti resterebbero inutilizzate nell’autorimessa dai proprietari.
Il sistema bancario contribuisce a rendere efficiente la gestione del capitale, perché lo utilizza al massimo, laddove i proprietari lo lascerebbero inutilizzato.
Il problema del sistema bancario è il modo in cui si tutela dal rischio insito nel prestare i soldi di altri ed essere sicuro che i soldi prestati rientrino in banca.
Il banchiere può prestare le auto dei proprietari che hanno deciso di ricoverarla in quel garage ma, quando i proprietari ne hanno bisogno, debbono in qualsiasi momento trovarne una a disposizione.
Il titolare di un’autorimessa ha due modi di prestare le auto custodite e due modi per tutelarsi dal rischio di incidenti.
Due tipologie di prestiti che le banche possono erogare: i soldi possono essere prestati a imprenditori, che attendono un profitto dall’impiego del capitale, capace di remunerare il capitale impiegato; i soldi possono essere prestati a consumatori, che restituiranno il prestito e l’interesse sulla base dei propri redditi futuri, proiezione di quelli attuali.
Nel primo caso si avrà un investimento fisico reale che avrà un effetto moltiplicativo sul reddito; nel secondo caso si agirà sull’acceleratore e l’effetto sugli investimenti dipenderà dalla parte di domanda globale considerata permanente.
Nel secondo caso l’azione del banchiere è meno diretta sul ciclo ed ha sugli investimenti solo un temporaneo effetto di accelerazione, nel caso il consumo sia rivolto a beni nazionali e non ad importazioni di beni da Paesi terzi.
Due modi di tutelarsi dalla mancata restituzione: chiedere in deposito la cifra prestata, ma ha inconvenienti: limita la platea dei clienti e la limita a quelli meno disposti a innovare, perché già ricchi.
È un criterio opposto a quello di Schumpeter.
Poi, rende indifferente la banca dall’efficienza marginale del capitale dell’impresa a cui si presta: visto che tanto i soldi verranno comunque recuperati e che il rischio dell’affare è a carico del finanziato, non è importante per la banca andare a vedere che cosa l’imprenditore voglia fare con i soldi.
Sono finanziabili solo i progetti proporzionali alla ricchezza posseduta dagli imprenditori.
Anche questo aspetto limita l’attività creditizia e l’innovazione.
Il secondo criterio è opposto: la banca si fa carico di capire cosa l’imprenditore vuole fare, assume in parte il ruolo di azionista ed in parte il ruolo di prestatore e si garantisce in tre modi: controlla efficacemente il management; ha il diritto di rimuoverlo se non è soddisfatto; ha la prelazione per modificare l’assetto proprietario dell’azienda quando i conti non tornano.
Immaginiamo due rimesse concorrenti con due politiche di prestito delle auto diverse: nella prima il titolare ha tanti collaboratori, verificatori di titoli e dei valori posti in garanzia e depositari delle cifre necessarie per poter avere l’automobile.
Essi non valutano la capacità di guidare di chi noleggia le auto, se gli autisti sono professionisti o meno, ma valuta solo la disponibilità delle cifre per poter noleggiare l’auto.
Nella seconda il titolare presta le auto solo ad autisti professionisti con licenza ed impone che ogni auto abbia la seconda guida e che possa mettere persona di fiducia per verificare la guida dell’autista e intervenire per prevenire incidenti; il titolare si tutela dagli incidenti con un’assicurazione, ma paga un premio basso, perché la sua attenta prevenzione riduce al minimo gli incidenti.
Gli autisti sono valutati dai suoi uomini di fiducia e quelli che guidano male sono sostituiti prima che si verifichino incidenti.
Data la seconda guida, essi intervengono ed evitano incidenti, frenando al posto del titolare della licenza di autista.
Il sistema bancario italiano ed anglosassone operano nel breve termine e con distacco dalla gestione delle imprese affidate, mentre il sistema bancario tedesco, grazie al suo peso nei Consigli di Sorveglianza (auftichtsrat) e quello giapponese, con il ruolo che rivestono le banche nei cartelli produttivi giapponesi, consentiti in funzione anticinese dagli USA dopo la guerra di Corea (Keyretsu), operano intervenendo anche in modo deciso sulla gestione delle imprese affidate, concedendo in cambio di ricevere come remunerazione del capitale una parte del ROI (Return of investment – rapporto tra il risultato operativo globale ed il valore medio del capitale investito nel periodo), effettivo registrato dall’impresa e non un tasso di interesse che prescinde da esso.
Ci sono fasi in cui gli investimenti in capitale fisico superano il risparmio e fasi in cui succede il contrario, queste accompagnate da fallimenti e aspettative negative.
Condizione per una fase espansiva è che il tasso naturale sia superiore al tasso di interesse corrente di mercato.
La questione centrale di politica economica è rendere sempre l’efficienza marginale del capitale superiore al tasso di interesse.
Il sistema tedesco e giapponese sono sistemi che hanno stabilito a fondamento del proprio funzionamento una semplice regola: ROI>i.
Solo quando il ROI (rapporto tra il risultato operativo globale ed il valore medio del capitale investito nel periodo) è maggiore del tasso medio di remunerazione del capitale di terzi (tasso pagato alle banche), l’effetto di leva finanziaria è positivo per l’impresa.
L’aumento dell’indebitamento dell’impresa fa aumentare il ROE (rendimento economico del capitale di rischio nell’esercizio in esame) poiché il capitale preso a prestito ed investito nell’impresa rende più di quanto costa e tale differenza è lucrata dai detentori del capitale di rischio.
Sia in Giappone che in Germania si può dire che è come se avessero stabilito che, quando il capitale preso a prestito dal debitore rende meno di quanto costa, è sempre un cattivo affare per tutti.
L’impresa, in queste condizioni, non può ripagare il prestito se non facendo ricorso a ricchezze e risparmi accumulati in precedenza, in quanto il capitale preso in prestito costa più di quanto rende.
Il prestito, qui, danneggia il debitore e, se la situazione permane, porta al fallimento dell’impresa, trasformando l’impiego bancario in una sofferenza bancaria.
In Giappone e Germania il loro complesso sistema finanziario si occupa sempre che il tasso di interesse sia inferiore al ROI e se quest’ultimo scende troppo, la banca interviene perché il ROI torni a crescere.
Esistono sistemi economici in cui le banche concorrono per finanziare imprese con ROI molto elevati e sistemi economici in cui le banche sono indifferenti e distinte dalle imprese e si preoccupano di recuperare parte del capitale investito.
I primi sono più efficienti dei secondi.
I capitalismi più forti hanno istituzioni peer garantire un ROI> tasso i.